Finanza

Ricordando Luca Salvatici: allievo, collega, amico di una vita

Fabrizio De Filippis

Ho conosciuto Luca Salvatici quando era studente presso la Facoltà di Economia di Roma Sapienza, circa 40 anni fa. Ho seguito la sua tesi di laurea, anche se il relatore ufficiale era il prof. Innocenzo Sandri, perché io ero ricercatore e allora i ricercatori non firmavano le tesi.

La tesi era sulla Politica agricola comune dell’UE, la Pac – più specificamente sulla politica delle strutture agricole – e si giovava dello stage che Luca aveva fatto a Bruxelles presso la DG VI della Commissione europea.

Luca non era solo un brillante studente. Di lui mi colpì subito la grande curiosità e la maturità intellettuale; in particolare, nel suo lavoro per la tesi, la capacità di analizzare il comportamento delle istituzioni, degli agenti economici e dei policy maker con strumenti allora poco diffusi in Italia, quali l’approccio di political economy e la teoria dei giochi: al riguardo, ricordo la forte influenza che ebbe su Luca (e poi su di me, per sua segnalazione) la lettura di Giochi di reciprocità, un libro di Robert Axelrod del 1984, che discuteva le condizioni alle quali può emergere e svilupparsi la cooperazione tra soggetti egoisti razionali, specie in giochi ripetuti, nei quali è decisiva la cosiddetta “ombra del futuro”. Un approccio molto adattabile a quelli che nel giro di qualche anno sarebbero diventati i due principali temi della nostra comune attività di ricerca, entrambi inquadrabili come giochi ripetuti: da un lato, la Politica agricola dell’UE e il complicato processo decisionale che la caratterizza; dall’altro, il protezionismo commerciale e i negoziati tra Paesi per ridurlo.

Dunque parlo di un rapporto iniziato 40 anni fa e che fino a quella  maledetta sera di   martedì 6 maggio 2025 non si era mai interrotto; un sodalizio scientifico e umano che quasi a farlo apposta si era rinnovato proprio la mattina di quello stesso martedì, quando ci eravamo incontrati per avviare un gruppo di ricerca Ismea/Roma Tre sulla evoluzione recente delle politiche commerciali e sugli effetti di dazi, guerre commerciali, accordi regionali di libero scambio o shock di natura geopolitica. E in quella stessa occasione, salutandoci, Luca mi rassicurò che nel giro di un paio di giorni mi avrebbe fatto avere il suo pezzo per il volume in memoria di Giovanni Anania che stiamo curando con Mimmo Cersosimo, Roberto Fanfani e Margherita Scoppola a 10 anni dalla sua scomparsa: Giovanni Anania, un altro importante anello di congiunzione tra noi.

Tornando agli inizi, tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90 il duo De Filippis – Salvatici ha avviato una intensa collaborazione di ricerca sui temi della politica agraria e del commercio internazionale che ci ha portato a firmare insieme 25 pubblicazioni, oltre metà delle quali sono state scritte dal 1990 al 2000, gli anni del suo dottorato di ricerca in California a Davis e del suo “precariato” universitario in Italia, trascorso tra l’Università della Tuscia, dove nel frattempo mi ero trasferito, e il Dipartimento di Economia pubblica della Sapienza, dove Luca nel 2000 entrò nei ruoli come ricercatore; un luogo che grazie alla presenza baricentrica di Michele De Benedictis restò per me un riferimento forte, anche dopo il mio passaggio a Roma Tre nel 1995.

Successivamente, nel 2003 Luca si trasferì in Molise, nell’Università in cui era rettore Giovanni Cannata, dove in poco tempo diventò professore associato; quindi il nostro ricongiungimento a Roma Tre, nel gruppo che proliferava intorno a Guido Fabiani, alla rivista La questione agraria e all’associazione Rossi-Doria; qui nel 2011, da direttore del dipartimento di Economia, promossi la sua chiamata per trasferimento come associato e successivamente il suo passaggio a ordinario che avvenne nel 2017, fin troppo tardi rispetto ai suoi meriti scientifici.

Tardi perché Luca era un ricercatore di valore indiscutibile, inserito in una rete internazionale di alto livello, ma era anche e soprattutto una persona perbene. E il suo stile di grande correttezza, che talvolta rasentava l’ingenuità, gli ha fatto raccogliere meno di quanto meritasse nell’accademia e nell’Università italiana.

Ma oggi questo rimpianto conta poco, anzi niente, perché è travolto dall’onda oceanica di stima e affetto che subito dopo la sua scomparsa si è riversata sulla sua memoria, sulla sua cerchia di amici e colleghi e sui suoi familiari.

E a proposito di amicizia e di familiari, come dimenticare le prime due case di Luca, quando uscì dalla famiglia di origine, entrambe fonte di grande perplessità e preoccupazione della madre, che non capiva il desiderio di autonomia e, come Luca raccontava sempre,   diceva “povero figlio mio, si vede che doveva stare proprio male a casa da noi”: la prima era tutta rosa, in uno stravagante condominio popolato da moltissimi gatti e da un’allegra brigata di simpaticissimi transgender, che mi pare fosse la ex garconierre di un giocatore della Lazio. La seconda, diciamo così, più decorosa, molto vicina alla Facoltà di Economia della Sapienza, a Viale delle Province, ma strettissima: praticamente una serie di piccoli vani ricavati lungo un corridoio, in cui Luca si nutriva esclusivamente di pizza al taglio, comprata in un posto a Piazzale delle Province che la faceva benissimo e ci metteva sopra di tutto.

E poi le tante occasioni di incontro extra-universitario e le tante icòne di Luca: sotto Natale la visita guidata al presepe fabbricato da Silvia, la sua amatissima moglie e compagna di viaggi e avventure; a Pasqua le pizze ternane, sia quella salata che quella dolce, che per la verità non ho mai amato molto ma che Luca per anni mi ha recapitato inesorabilmente; i pantagruelici pranzi a Ferentillo gestiti da papà Silvano davanti a un enorme caminetto e nei quali difficilmente mancavano quaglie e palombe, sempre precedute da centinaia di meravigliosi crostini di fegato; e infine, nelle case di Luca da sposato, i leggendari barbecue, fatti con Weber sempre più tecnologici e raffinati, dove grigliava o affumicava con legnetti aromatici statunitensi carne di tutti i tipi, assistito da Enrico e Pietro, suoi splendidi figli che su questo fronte (ma non solo) gli davano grandi soddisfazioni. Infine, più di recente, la scoperta dei bei concerti di Roma Tre orchestra, che da qualche tempo avevamo preso a frequentare insieme con regolarità.

Ho saputo la terribile notizia dell’incidente poco dopo le 21 di quel maledetto martedì da Silvia, appena tornata a casa, che con voce rotta è riuscita a fatica a raccontarmi cosa era successo, dicendomi che ero il primo a saperlo e pregandomi di avvertire gli amici più cari. E mia moglie Laura che ascoltava la telefonata ha poi giustamente osservato che se qualcosa di simile fosse capitato a me, anche lei avrebbe fatto lo stesso, avrebbe chiamato Luca… Chi altri se non Luca?

Insomma, Luca è stato un pezzo importante della mia vita, fatto di tante cose accumulate e mischiate in 40 anni di vicinanza: studente, allievo, fratello minore, collaboratore, collega, bersaglio di poesie goliardiche sul suo abbigliamento – i mitici pinocchietti e le indimenticabili magliette a strisce – e soprattutto amico, amico vero; una miscela evolutiva di ruoli che è fisiologicamente cambiata nel tempo ma che è sempre rimasta dolcemente collaudata e affidabile, sia nei pregi che nei difetti, come accade per i posti del cuore o i piatti della cucina di famiglia: Luca per me era una sicurezza, come il Vesuvio o Positano, come la parmigiana di melenzane o le pizze fritte.

Concludo ribadendo che Luca era una persona per bene e di sostanza, mite e gentile nella sostanza; non a caso, quando subiva un torto più che arrabbiarsi si stupiva che qualcuno gli facesse qualcosa che lui non avrebbe fatto; e non gli ho mai sentito alzare la voce o imprecare contro qualcosa o qualcuno, anche quando a me sembrava ce ne fosse bisogno…

Luca era tutto questo e certamente anche di più. E oggi capisco la fortuna di averlo incontrato sulla mia strada, l’opportunità di aver potuto lavorare con lui e soprattutto il privilegio di essere stato suo amico.

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Luca De Benedictis

Avete appena letto il ricordo di Luca Salvatici da parte di Fabrizio De Filippis. Sono, come lui, e come credo quelli di voi che lo hanno conosciuto, incredulo. Luca è ancora ben presente nelle nostre vite, nello scorrere delle ore, nei giorni che abbiamo davanti. Idealmente, se fossimo tutti insieme in una grande aula, come durante la mattina di commemorazione all’Università Roma Tre, organizzata dal Dipartimento di Economia, o in un intima cappelletta, come al Cimitero Acattolico di Roma, dove Silvia, Enrico e Pietro, moglie e figli di Luca, ci hanno fatto spazio perché anche noi avessimo modo di ricordare a voce alta, l’allievo, il collega, l’amico di una vita, immaginerei Luca seduto tra voi, curioso di ascoltare cosa i relatori e le relatrici abbiano da dire. Lo farebbe a modo suo. Aprirebbe il suo computer, e con una parte del cervello ascolterebbe mentre con l’altra sbrigherebbe le sue faccende urgenti.

Lui faceva così. Ai seminari, in prima fila, dopo due minuti era a capo chino, tutto proteso verso lo schermo del portatile. Il relatore potevo essere io, o molte e molti di voi, poteva essere un premio Nobel, un luminare della materia, una importante ospite … Luca, niente, sempre nelle prime file, apriva il computer e si metteva a trafficare. Qualche tempo fa, non mi trattenni e glielo chiesi. “Ma perché ogni volta durante un seminario, ti metti al computer?” Mi aspettavo una risposta intima e confidenziale. Una confessione di timidezza. Il bisogno di celarsi dietro lo schermo acceso. Mi rispose: “controllo la posta”. Fu una affermazione spiazzante. Volevo stanarlo e lui mi rispondeva da par suo. In modo pratico. Fine della discussione.

Fu così per la morte dei nostri genitori. I miei erano morti qualche anno prima. Con Luca ci sentivamo periodicamente e la conversazione finiva per portarci a come stavamo vivendo questa fase di lutto. Su come reagivano le nostre sorelle, su come la vivevano i nostri figli. Io gli consigliavo dei libri, lui ne consigliava a me: Lydia Flem: “Come ho svuotato la casa dei miei genitori”;   Everything my Mum left behind della corrispondente dell’Economist Rosie Blau. Ma con Luca tutto finiva per vertere sul lato pratico: cosa tenere, cosa buttare. Del perché accumuliamo tracce materiali del nostro passato, si argomentava il minimo. Se io mi lanciavo in un discorso sull’accumulare come necessità di ognuno di alimentare i ricordi, lui per contro mi informava sull’eventuale costo dei magazzini di stoccaggio. Luca era un uomo pratico. Ma non voglio rischiare di essere frainteso. Lungi da me affermare che Luca fosse una persona insensibile. Aveva invece una sensibilità profonda, quasi indifesa. Ma non amava soffermarcisi, aveva bisogno di cavare dalle cose della vita quella leva su cui poter agire.

Luca lo avevo conosciuto all’Università “La Sapienza”, prima che perdesse la “La”. Lui era più giovane di un anno, ma io mi attardavo e lui avanzava spedito. Studiammo insieme Economia III, il corso di Pierangelo Garegnani. Luca era brillante, si applicava, studiava molto. Io contavo sulle sue conoscenze e sui suoi appunti. Fu un errore grave.

A molte e molti di voi che lo hanno conosciuto sarà capitato di incontrare la scrittura di Luca Salvatici. È molto triste. Tutto ciò che Luca ha lasciato di scritto a mano è oramai perduto. Nemmeno un crittografo, un linguista esperto di civiltà estinte potrebbe interpretare la scrittura di Luca. Lui, uomo pratico, era condannato ad una calligrafia inutile, che nessuno capiva, neanche lui stesso. Forse per questo passava così tanto tempo al computer. Per riconoscenza. Quell’oggetto gli aveva permesso di trasmettere le sue riflessioni agli altri. Se fosse stato un intellettuale dell’800 sarebbe stato irrimediabilmente solo. Immaginate Leon Walras ricevere una missiva dal promettente economista Luca Salvatici … impossibile da interpretare.

Ma, come ho ripetuto più volte durante i giorni di commemorazione, nonostante l’intoppo degli appunti di Luca, la nostra frequentazione continuò. La nostra amicizia rischiò di interrompersi quando Luca scelse Fabrizio De Filippis come occulto relatore di tesi di Laurea e con lui cominciò a frequentare la casa di mio padre, Michele De Benedictis. Il mio amico aveva preferito mio padre a me. Avrei dovuto fargliela pagare. Ma Luca nonostante la mia freddezza mi invitò alla sua festa di Laurea. In un magazzino in periferia, un hangar, un posto di quelli che vent’anni dopo si sarebbero chiamati Centro sociale occupato. Fu una festa grandiosa, di musica e alcool. Ballammo tutti per ore. Perché a Luca la musica piaceva molto, ma ballare gli piaceva moltissimo. Gli piaceva lo Ska e gli piacevano i Madness. Come potevo non tenermelo come amico.

Lo studio lo fece diventare ancora più bravo. La California e Davis gli aprirono gli orizzonti. Non credo di aver mai conosciuto nessun altro con orizzonti più ampi. Gli piaceva viaggiare e del suo lavoro prediligeva tutto ciò che gli avrebbe permesso di farlo. Dall’Africa, all’Asia, dall’America del Sud a quella del Nord. A Luca di volta in volta chiedevo: “E quest’anno dove andate?” Perché i Salvatici si muovono in piccoli branchi. E lui serio “Il Convegno internazionale della Associazione non so cosa si svolge non so dove. È una buona occasione”. E partiva. E partivano.

Di nuovo, non voglio rischiare di essere frainteso. Luca non praticava quel turismo accademico dove il Convegno è una scusa per andarsene in giro a zonzo. Il Convegno era per Luca una faccenda serissima. Si appuntava il programma, segnando ogni singolo seminario che voleva seguire, ogni relazione di possibile interesse. E poi ai seminari … apriva il computer. Ma interveniva, anche, e i suoi interventi erano acuti, uno stimolo per chi parlava. Gli incontri con Luca portavano a discussioni, rapporti professionali e spesso, in qualunque parte del mondo, a degustazioni di birra. Luca ha lavorato con tante persone. La sua rete di contatti professionali è estesissima. Perché Luca era una persona sinceramente interessata ai problemi che si poneva ed era estremamente competente. Una competenza frutto di curiosità ma anche di stagionatura. E poi anche nella ricerca era una persona pratica. Molte volte i nostri progetti comuni sarebbero rimasti in bozza se Luca non avesse, ad un certo punto, preso le cose in mano e li avesse trasformati in cose fatte e finite.

Vorrei raccontarvi ancora molte cose, di buona parte della nostra vita passata insieme. Dei suoi barbecue e delle sue letture, della simbiosi con Silvia, delle gioie, dolori e delusioni della vita accademica, del suo legame con mio padre e anche con mia madre, della serietà nell’insegnamento e della formazione delle ricercatrici e dei ricercatori più giovani, delle occasioni di incontro che creava.

Ma basta, ho già preso troppo tempo. Luca sarebbe già scomparso dietro il suo computer e si sarebbe già messo a guardare la posta.