Risultati e criticità del Concordato Preventivo Biennale
I risultati. Alla originaria scadenza del 31 ottobre 2024 le adesioni al Concordato Preventivo Biennale, illustrato in un nostro precedente articolo, sono risultate, secondo quanto comunicato dal governo, poco più di 520 mila (circa il 12 per cento di quelle potenziali), con un gettito di circa 1,2 miliardi per il biennio 2024-2025. Con la riapertura dei termini, alla scadenza del 12 dicembre le adesioni si sarebbero avvicinate a 600 mila e il gettito avrebbe raggiunto 1,6 miliardi. La previsione “prudenziale” era nell’ordine dei 3 miliardi.
Si usa il condizionale perché dati ufficiali non sono stati pubblicati, le informazioni disponibili provengono da dichiarazioni di esponenti governativi. In particolare, il viceministro Leo (si veda l’intervista al Fatto Quotidiano del 18 dicembre 2024) ha informato che le adesioni sarebbero state 584 mila, su una platea di 2,6 milioni di contribuenti ISA e 1,7 milioni di forfettari. Quindi, circa il 13% di adesioni sui complessivi 4,3 milioni di potenziali aderenti. Inoltre, circa 190 mila contribuenti con punteggio ISA inferiore a 8 sarebbero diventati pienamente affidabili, avendo accettato la proposta di CPB. Si può anche notare che i 190 mila contribuenti divenuti affidabili sono meno numerosi dei 250 mila che aderirono al meno favorevole concordato preventivo del 2003-2004.
Diversi organi di stampa (tra gli altri, il Fatto Quotidiano con l’articolo di Chiara Brusini del 18 dicembre 2024) hanno parlato di un ‘flop’. In effetti, i risultati sembrano modesti. Soprattutto, con questo livello di adesioni non si conseguono gli auspicati benefici in termini di semplificazione amministrativa e riduzione del contenzioso e persiste il serio problema dei controlli da effettuare sull’amplissima platea dei contribuenti che non ha aderito.
Il governo, segnatamente il viceministro Leo, ritiene comunque i risultati incoraggianti e intende continuare a puntare sul CPB.
Al di là dei risultati complessivi su adesioni e gettito, occorrerebbero valutazioni più dettagliate per comprendere e analizzare gli effetti del CPB. Evidenze aneddotiche indicano che ad aderire sono stati prevalentemente icontribuenti che, rispetto alla proposta dell’Agenzia delle Entrate (AdE), avevano l’aspettativa fondata di conseguire risultati economici migliori, o che avevano interesse a sanare gli anni pregressi. Sembrano, invece, scarse le adesioni di contribuenti che hanno ricevuto proposte eccedenti le loro previsioni di quanto avrebbero dovuto dichiarare restando nel regime ordinario.
Questa «asimmetria» ha molto probabilmente comportato un gettito inferiore rispetto a quello che sarebbe derivato da dichiarazioni spontanee. Questo potrà essere verificato in futuro, quando saranno disponibili le dichiarazioni fiscali del 2024 e 2025 (cioè rispettivamente alla fine del 2025 e del 2026) dato che comunque permangono, per chi aderisce al CPB, gli obblighi contabili e dichiarativi ordinari. Sarà allora possibile confrontare gli imponibili concordati con quelli effettivamente dichiarati, per ciascun contribuente che ha aderito e comprendere se il CPB abbia comportato un aumento o una perdita di gettito. Sarà anche possibile verificare quali categorie di contribuenti hanno in prevalenza aderito e investigare le loro motivazioni: in particolare, il ruolo del cosiddetto “ravvedimento”.
I concordati preventivi sono comunque “poco attrattivi”? Merita riflettere sui motivi dei non brillanti risultati del CPB. La percentuale delle adesioni, modesta rispetto alle attese e agli auspici, è stata solo di poco superiore rispetto al concordato preventivo 2003-2004, che però era caratterizzato da condizioni assai meno appetibili: mancavano, tra l’altro, l’imposta forfettaria sui redditi aggiuntivi e il “ravvedimento”, e non vi era stata una campagna mediatica di sollecitazione all’adesione.
Sorge il dubbio che i concordati preventivi, per quanto accompagnati da misure di favore e pubblicizzati con vigore, siano comunque poco “attrattivi” per loro natura. La catastizzazione preventiva dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo, accompagnata dalla facoltà di aderire o meno, senza contraddittorio, alla proposta formulata dall’AdE, forse non si adatta alla realtà economica delle imprese e dei professionisti.
I risultati economici del singolo soggetto, impresa o professionista, mostrano infatti un’elevata variabilità da un anno all’altro. Data la facoltà di scegliere, molti contribuenti presumibilmente preferiscono non scommettere sul futuro, nel timore di dover poi pagare più di quanto dovrebbero se restassero nel regime ordinario. Aderiscono solo coloro che, come rilevato, hanno la fondata aspettativa di conseguire risultati economici migliori rispetto a quanto loro proposto. Ma è presumibile che siano relativamente pochi i contribuenti in queste condizioni di “certezza”, e prevalgano invece atteggiamenti di prudenza.
Questa forma di “selezione”, insita nella natura dei concordati preventivi facoltativi, può comportare i già ricordati effetti negativi in termini di minor gettito rispetto a quanto si potrebbe conseguire col regime ordinario.
La possibilità di comportamenti “opportunistici”. Le considerazioni appena svolte riguardo al gettito risultano aggravate se si considera la possibilità di comportamenti “opportunistici” da parte dei contribuenti. Ci si riferisce alla possibilità di adattare, con il consenso delle controparti contrattuali, la scadenza temporale di ricavi (o compensi) di rilevante importo, e quindi dei conseguenti redditi, in modo da percepirli nell’anno oggetto del CPB. L’ipotesi è realistica per soggetti che hanno un ciclo di produzione ultrannuale o che effettuano non regolarmente prestazioni di elevato ammontare, nonché in generale per i professionisti, che determinano gli imponibili con il criterio di cassa anziché di competenza.
Inoltre, potrebbero anche determinarsi incentivi ad effettuare acquisti in nero, perché la documentazione delle spese sostenute non sarebbe utile per ridurre gli imponibili concordati. Questo, a sua volta, potrebbe alimentare comportamenti scorretti delle controparti, contribuendo al rafforzamento della filiera del nero.
C’è infine da osservare che il contribuente che aderisce al CPB si posiziona su un punteggio ISA pari al massimo, riferito all’anno di riferimento, cioè al 2023. Questo posizionamento garantisce le premialità per il biennio 2024-25, ma è del tutto svincolato da quello che poi il contribuente dichiarerà. Cioè, nel 2024 e nel 2025 il contribuente, nell’adempiere ai normali obblighi documentali e dichiarativi, potrebbe dichiarare situazioni non veritiere, coerenti con livelli di affidabilità molto bassi. Gli effetti della premialità sono comunque garantiti ex ante e sottostimare gli imponibili per quei due anni potrebbe risultare utile per abbassare il piede di partenza per il successivo concordato biennale (quello 2026-2027).
Ma può esservi di peggio: è stato paventato che, una volta concordati ex-ante gli imponibili, un contribuente scorretto possa essere incentivato a fatturare ricavi per operazioni inesistenti, consentendo all’acquirente la detrazione dell’IVA e la deduzione del costo ai fini dell’imposta sui redditi. Questi non sarebbero comportamenti “opportunistici”, configurerebbero piuttosto illeciti, tipici delle cosiddette “cartiere”, eventualmente sanzionabili penalmente.
L’esclusione dell’IVA. Il CPB esclude l’IVA, che rimane nel regime ordinario. L’adesione al CPB comporta però, anche per l’IVA, il beneficio dell’esclusione da accertamenti basati su presunzioni semplici (DPR 633/1972, art. 54, comma 2, secondo periodo). Questa esclusione è mutuata dalle premialità che spettano ai contribuenti IVA “affidabili”. Ma nel normale regime ISA questa previsione si giustifica con il fatto che anche i ricavi, oltre agli imponibili Irpef e Irap, possono essere adeguati, e comportano quindi anche un maggior gettito IVA. L’attenuazione delle possibilità di accertamento sull’IVA, trainata dall’adesione al CPB, è quindi un “quid pluris”, forse non molto importante in concreto, ma pur sempre potenziale ispiratore di comportamenti non corretti, quali la sotto-fatturazione a monte e a valle, che potrebbe anche precostituire, per il successivo concordato, condizioni più favorevoli. Appare comunque poco ragionevole attenuare gli accertamenti su un tributo per il quale non si fa alcuna proposta per portare in futuro l’imponibile a livelli considerati più realistici.
Desta inoltre perplessità il fatto che, nella logica complessiva del provvedimento, l’emersione di imponibili sul reddito e sulla produzione netta non si accompagni all’emersione di ricavi imponibili nel comparto dell’IVA: come se l’evasione delle imposte sui redditi e sull’Irap marciasse disgiunta dall’evasione dell’IVA.
D’altro canto, l’esclusione dell’IVA dal CPB era una scelta quasi obbligata: infatti, l’eventuale estensione del CPB all’IVA sarebbe incappata, con elevatissima probabilità, nella violazione della normativa UE.
Il CPB favorisce la crescita economica? Passando a altre considerazioni, di carattere economico, va notato che una delle cause di fuoriuscita dal CPB sono le operazioni straordinarie (fusioni, scissioni, conferimenti, incorporazioni) e le modifiche della compagine sociale. Queste ristrutturazioni patrimoniali possono essere fondamentali per la crescita delle attività economiche: prevederle come causa di cessazione del CPB può, alla lunga, indurre a una sorta di nanismo economico, soprattutto per effetto della prospettiva di permanenza a regime nel CPB.
A queste considerazioni se ne contrappongono altre che considerano la predeterminazione degli imponibili una forma di stimolo all’attività imprenditoriale, perché incentiverebbe l’imprenditore (o il professionista) a moltiplicare gli sforzi per migliorare i risultati della propria attività e quindi ne beneficerebbe la crescita economica generale.
Su questa pretesa capacità del CPB pesa però negativamente la limitatezza dell’orizzonte temporale di riferimento: un biennio. Che poi si riduce notevolmente, dato che la proposta dell’AdE viene comunicata alla metà del primo anno del biennio di riferimento e la scadenza per aderire sarà, a regime, fissata al 30 settembre. Su un orizzonte così limitato non è realistico che l’imprenditore pianifichi interventi per migliorare la propria efficienza e redditività. Il CPB, anziché indurre stimoli all’innovazione e allo sforzo imprenditoriale e professionale, tenderà invece a tradursi in windfall gains (guadagni inaspettati) per attività economiche che hanno la fondata aspettativa di conseguire comunque nell’immediato futuro risultati superiori alla proposta ricevuta.
L’applicazione del CPB alle società di capitali. Un ulteriore punto di criticità riguarda l’applicazione del CPB a tutti i contribuenti soggetti agli ISA, quindi anche alle società di capitali. Non solo alle Srl, ma anche alle SpA, alcune pubbliche, alcune appartenenti a gruppi di dimensioni ragguardevoli. Queste società sono soggette a contabilità analitica, la loro capacità contributiva dovrebbe essere riferita a imponibili determinati con le regole ordinarie e, soprattutto, a imponibili effettivamente conseguiti. Perché una SpA appena al di sotto della soglia degli ISA dovrebbe essere ammessa a “scommettere” sul proprio reddito futuro? E questo non creerebbe forse disuguaglianze irragionevoli tra SpA ammesse al CPB che hanno usufruito con successo della possibilità di “scommettere”, avendo la ragionevole certezza di conseguire in futuro risultati migliori di quelli proposti, e società che, a parità di reddito effettivo conseguito ex-post, non hanno avuto la stessa possibilità, perché avevano la fondata aspettativa di restare comunque al di sotto del reddito proposto?
Sembra irragionevole costringere gli amministratori di SpA a prendere in considerazione e valutare nel merito l’eventuale adesione a una “scommessa” sulle imposte future. A maggior ragione se la SpA, seppure di dimensioni medio-piccole, facesse parte di grandi gruppi, che potrebbero ricadere nell’ambito di applicazione dell’adempimento collaborativo e del Tax Control Framework (TCF), o perfino del Pillar 2. Si pensa veramente di trarre vantaggi, ai fini dell’emersione dei redditi sottratti a imposizione, dall’applicazione del CPB a questi soggetti? O di stimolare il loro spirito imprenditoriale, favorendo così la crescita economica complessiva del paese?
L’adozione del TCF mal si concilia con il CPB. È vero che il gruppo potrebbe escludere dal suo perimetro la società che aderisce al CPB, ma appare contraddittorio incoraggiare da un lato l’utilizzo del TCF e dall’altro l’adesione al CPB. Il TCF tende a rafforzare la compliance dell’intero gruppo, a spingerlo a meglio definire il suo reddito effettivo; il CPB intende invece far emergere imponibili non dichiarati, proponendo valori congetturali per gli esercizi futuri, avulsi dal reddito effettivo che verrà conseguito in quegli esercizi. I due istituti sono presentati come aventi la stessa finalità, ma la perseguono in modo profondamente diverso e partendo da presupposti logici divergenti. I criteri di determinazione della capacità contributiva sono infatti profondamente difformi tra i due regimi. È ragionevole dare la facoltà di scelta tra i due regimi? Forse sarebbe più ragionevole escludere le SpA dal CPB e semmai limitare quest’ultimo a forme organizzative meno strutturate, quelle tipiche dell’impresa individuale (o associata) e del professionista.
L’equità. Il CPB, come rilevato, comporta anche una sostanziale sperequazione tra i contribuenti: chi non ha prospettive certe di conseguire redditi superiori a quanto proposto e non ha aderito, pagherà sul reddito effettivo del 2024 e del 2025; a parità di reddito effettivo, chi ha invece aderito non pagherà nulla sul maggior reddito effettivo rispetto a quello concordato. La sperequazione è aggravata dal fatto che sull’aumento del reddito concordato rispetto a quanto dichiarato nel 2023 la tassazione Irpef non è piena, ma ridotta, applicandosi la specifica imposta sostitutiva, che produce anche l’esclusione dalle addizionali regionali e comunali. Inoltre, solo chi aderisce al CPB può fruire del “ravvedimento”, sanando la propria posizione a costi contenuti (le due cose possono anche coincidere).
Insomma, il CPB, per sua natura, tende a favorire solo alcuni tipi di contribuenti: coloro che hanno prospettive economiche più rosee rispetto alla proposta ricevuta e coloro che nel passato sono stati verosimilmente degli evasori, anche di tipo seriale, e intendono “ravvedersi” (le due cose possono anche coincidere).
Il CPB presenta quindi profili di sostanziale disuguaglianza, che possono aggravare la percezione di iniquità e irragionevolezza che già caratterizza negativamente il nostro sistema tributario. In particolare, se si diffonde l’impressione che ci si accontenti di incassare subito ciò che volontariamente alcuni contribuenti (tra cui probabilmente i meno corretti) si offrono di versare – in quanto allettati dalla prospettiva di pagare meno di quanto dovrebbero se non aderissero nonché di evitare controlli e conseguire le altre premialità – e se la premialità del “ravvedimento” è interpretata (correttamente) come un condono, si può deteriorare il livello complessivo di compliance, perché i contribuenti che hanno adempiuto correttamente ai loro obblighi tributari, sottoponendosi anche all’ordinario regime di progressività, possono considerarsi beffati e scoraggiati a mantenere comportamenti corretti.