Finanza

L’inatteso successo elettorale di Milei e le sue ragioni

Lo scorso ottobre si sono tenute in Argentina le elezioni legislative di medio termine. Contrariamente alla più accreditate previsioni, il partito del presidente Javier Milei ha ottenuto il maggior numero di voti: poco più del 40% contro il 35% circa delle liste peroniste e di sinistra.

Questi risultati favorevoli per il governo hanno generato la consueta euforia nel mercato azionario di Buenos Aires e tra le società quotate a Wall Street. Pochi giorni dopo lo shock iniziale, lo stesso Milei ha annunciato che, al Congresso Nazionale nella sua nuova composizione –operativo dal 10 dicembre – intende presentare proposte di legge per la riforma del lavoro, del fisco e delle pensioni. Il disegno di legge sulla riforma delle pensioni è stato sospeso, forse a causa dell’esperienza di Macri il quale aveva ottenuto una vittoria più clamorosa alle elezioni di medio termine del 2017, ma il suo tentativo di riformare la legge sulle pensioni incontrò una feroce resistenza popolare. Questo, unito al suo fallimento nel frenare l’inflazione dilagante, segnò l’inizio della fine della sua amministrazione. Macri riuscì ad ottenere l’approvazione del suo disegno di legge sul defunding delle pensioni nel dicembre 2017 con la legge 27.426. Tuttavia, appena un mese dopo, i fondi di investimento smisero di erogare fondi per il debito e, a maggio, l’Argentina richiese nuovamente un prestito al FMI, a 12 anni di distanza da quando Néstor Kirchner aveva saldato il debito con l’organizzazione, impedendole di interferire – come aveva sempre fatto – con le sue “raccomandazioni” di aggiustamento fiscale e deregolamentazione. Resta da vedere quali degli annunci di Milei saranno effettivamente attuati dal Congresso Nazionale, perché in Argentina in venti giorni possono succedere molte cose, ma in vent’anni nulla (come direbbe il tango “volver” di Gardel).

L’esperimento di Milei viene spesso paragonato, tenendo conto delle sue sfumature, a quello di diversi leader internazionali –che governano, hanno governato o aspirano a governare – come Trump, Bolsonaro, Meloni e Orbán. In America Latina, ci sono altri leader come Bukele a El Salvador e Kailer e Kast in Cile, che prendono e mantengono posizioni estreme e offrono soluzioni apparentemente facili ai loro elettori, frustrati da anni di stagnazione economica. Tuttavia, come per ogni esperienza politica, è necessario cercare di comprendere l’annuncio del leader argentino sulle riforme al di là dei suoi scatti d’ira e della sua insensibilità alla sofferenza sociale. A questo proposito, avanziamo qui tre considerazioni che possono aiutare il lettore italiano anche a comprendere i risultati elettorali.

1. In Argentina, gli elettori tendono generalmente a sostenere il governo in carica, soprattutto nelle elezioni di medio termine che si svolgono immediatamente dopo il suo insediamento. Questo è avvenuto quasi sempre dopo il ritorno alla democrazia (1983), con solo tre eccezioni: nel 1997 e nel 2001 a causa della crisi della convertibilità peso-dollaro e nel 2021 con la crisi sociale dovuta alle conseguenze della pandemia da Covid. Questo aspetto è centrale per comprendere la permanenza dei partiti al potere. Un attento osservatore potrebbe chiedersi come mai non abbiano avuto un ruolo decisivo nei risultati elettorali le ripercussioni sociali delle politiche di definanziamento di settori socialmente sensibili come l’istruzione universitaria, la ricerca e la tecnologia, e persino di un ospedale pediatrico ad alta complessità, adottate da Milei. Né sembrano averlo avuto i numerosi scandali di corruzione che hanno afflitto il governo. Per rispondere a questa domanda, è utile introdurre la seconda considerazione.

2. È importante sottolineare che, dal punto di vista economico, il governo di Milei si è comportato come tutti i governi di destra della regione: ha favorito la concentrazione della ricchezza, ha generato una crisi del mercato del lavoro, indebitando il Paese e sottraendosi alla responsabilità dello Stato di fornire servizi di base. In particolare, Milei ha direttamente definanziato la manutenzione stradale – il che, in un Paese che è l’ottavo al mondo per estensione, mina l’integrazione nazionale e regionale – a volte delegandola a grandi aziende private. Questo è significativo, considerando l’influenza di JP Morgan nel governo.       

Questa banca d’investimento annovera diversi funzionari che hanno lavorato nel governo Milei per molti anni. Un articolo del quotidiano Perfil riferisce che Luis “Toto” Caputo, attuale Ministro dell’Economia, vi ha lavorato tra il 1994 e il 1998, gestendo obbligazioni e azioni nella regione. José Luis Daza, Segretario di Politica Economica e Vice Ministro dell’Economia, è stato amministratore delegato e responsabile della ricerca sui mercati emergenti presso JP Morgan dal 1992 al 2000. Santiago Bausili, presidente della Banca Centrale Argentina (BCRA), ha lavorato per undici anni presso JP Morgan, dal 1996 al 2007, come vicepresidente dei mercati dei capitali e dei derivati ​​per Argentina, Cile e Perù. Pablo Quirno, nominato Ministro degli Esteri il 23 ottobre 2025 in sostituzione di Gerardo Werthein, vanta oltre trent’anni di esperienza nel settore finanziario, incluso il ruolo di direttore per l’America Latina di JP Morgan. Braccio destro di Caputo, la sua ascesa agli Affari Esteri desta preoccupazione: un economista al timone della diplomazia potrebbe allineare la politica estera alle agende di mercato, come lascia pensare la sua esperienza in fusioni e acquisizioni regionali. Vladimir Werning, vicepresidente della Banca Centrale Argentina (BCRA), è stato direttore esecutivo e capo economista per l’America Latina presso JP Morgan dal 1996 al 2016. Infine, Demián Reidel, presidente di Nucleoeléctrica Argentina – la società statale che gestisce le centrali nucleari del Paese – dall’aprile 2025 ed ex capo dello staff dei consiglieri presidenziali, ha iniziato la sua carriera presso JP Morgan, concentrandosi sui mercati emergenti prima di entrare in Goldman Sachs.

Insomma, questa “rete JP Morgan” non è una coincidenza: eventi come la visita del CEO della banca a Buenos Aires nel 2025 rafforzano la percezione di una porta girevole tra finanza globale e potere locale. Nel novembre 2025, il rifiuto di JP Morgan di concedere un prestito di 20 miliardi di dollari per continuare ad alimentare il sistema del debito e far fronte alla fuga di capitali del mercato argentino, nonché la sua decisione di abbassare il rating del debito sovrano, hanno reso evidente la subordinazione del governo Milei alla finanza internazionale, dunque la sua chiara fragilità.

Milei ha, però, colto nel segno su un punto chiave: il controllo dell’inflazione che implica rispetto per il denaro dei cittadini. Il sociologo ed ex vicepresidente della Bolivia, Álvaro García Linera, mostra di esserne consapevole quando afferma di considerarlo uno dei problemi che il movimento nazionale e popolare (la sinistra) ha colpevolmente trascurato. In un Paese dove l’economia informale è molto diffusa e dove le persone, come accade anche in Italia, svolgono spesso due lavori – alcuni tramite piattaforme online –per arrivare a fine mese, sapere quale è il potere d’acquisto del proprio danaro è una questione centrale. Per circa metà della popolazione, quella con un impiego formale e contratti collettivi che li tutelano e consentono aumenti salariali, questo potrebbe essere un problema di poco conto, ma non lo è per una fascia sempre più ampia della popolazione.

Malgrado l’attenzione prestata da Milei all’inflazione, dopo le elezioni, è emerso che l’inflazione, misurata dall’INDEC (l’agenzia nazionale di statistica), è aumentata per il quinto mese consecutivo. È importante notare che l’inflazione è relativamente bassa per gli standard argentini – 2% al mese – e la ragione principale è che il governo ha adottato una strategia utilizzata anche dai governi peronisti: mantenere il dollaro relativamente sottovalutato.

Sotto l’amministrazione Milei, questo è stato possibile finora grazie all’utilizzo di dollari provenienti da varie fonti e in misura consistente in soli due anni: un raccolto agricolo record (circa 20 miliardi di dollari) e programmi di condono fiscale (circa 23 miliardi di dollari); un nuovo prestito del FMI (quasi 20 miliardi di dollari); e, infine, ad oggi, uno swap con il Tesoro statunitense (altri 20 miliardi di dollari). Come ci si aspetterebbe da una politica economica coerente volta all’espansione dell’industria e all’accumulo di riserve, questo denaro non è stato utilizzato per costituire riserve presso la Banca Centrale Argentina (BCRA). È stato invece impiegato in vari modi, come l’accumulo di asset all’estero e il consumo di prodotti a basso costo offerti da piattaforme di proprietà cinese come Shein e Temu, che forniscono servizi di corriere porta a porta.

I dollari non detenuti presso la Banca Centrale Argentina (BCRA) vengono utilizzati anche dalla classe media per acquistare beni e servizi di lusso, come viaggi all’estero e l’acquisto di beni durevoli e di consumo, compresi quelli importati, poiché l’apprezzamento del peso sta consentendo importazioni record. Un recente rapporto dell’Istituto Nazionale di Statistica e Censimenti argentino (INDEC) mostra che le importazioni ammontavano al 32% del PIL nel primo trimestre del 2025, il massimo degli ultimi 135 anni. Questa situazione può essere vista come una decisione in cui il fattore dominante è sempre vincere le prossime elezioni, perché il dollaro a buon mercato, come appena ricordato, può essere considerato “populismo valutario” con buoni risultati immediati, sebbene disastrosi nel medio e lungo termine.

3. Per una approfondita analisi politica, una prospettiva sociologica sulle elezioni è rilevante: la maggioranza dell’elettorato è non peronista o antiperonista. Ciò è stato evidente, ad esempio, nel 1989, quando, nonostante un tasso di inflazione annuo del 3.079%, il candidato che rappresentava l’allora governo non peronista ottenne il 37% dei voti. Oggi, Milei si colloca in quello spazio non peronista, tipicamente attratto da una bassa inflazione e da un dollaro a buon mercato per l’acquisto di beni di lusso. Lo abbiamo visto nel 1995, quando Menem fu rieletto con un tasso di disoccupazione del 18%, e le elezioni furono considerate influenzate dal “voto dei blender”, ovvero di coloro che pagavano le rate dei beni durevoli in dollari e volevano evitare una brusca fine della favorevole convertibilità peso-dollaro. Lo abbiamo sperimentato di nuovo anche nel 2017, quando Macri ottenne più voti di Milei alle elezioni di medio termine.

In definitiva, la vittoria del governo di Milei alle elezioni di medio termine del 2025 poteva essere prevista. E ciò conduce alla seguente considerazione: il problema principale non è Milei, ma il blocco peronista stesso, i suoi conflitti interni e la sua incapacità di connettersi con le rivendicazioni sociali. La nostra leadership peronista è isolata dalla vita quotidiana della maggioranza e finché sarà così, una semplice idea di fondo – contenere l’inflazione e vendere dollari a basso prezzo – darà più possibilità di successo rispetto a qualsiasi candidato dell’opposizione.