Finanza

Le eredità aggravano le disuguaglianze? Nuove evidenze sugli effetti dei trasferimenti di ricchezza

In tutta Europa e negli Stati Uniti, i trasferimenti di ricchezza sono cresciuti più rapidamente dei redditi totali. In Francia, ad esempio, le eredità e le donazioni sono passate dal 2% del reddito nazionale nel 1950 al 15% nel 2010 (Piketty, 2011). Aumenti simili sono stati riscontrati nel Regno Unito (Atkinson, 2018) e in Italia (Acciari, Alvaredo e Morelli, 2024). In Italia, le stime più aggiornate suggeriscono che i lasciti ereditari come quota del reddito nazionale, erano raddoppiati tra gli anni ’90 e il 2021, quando hanno raggiunto il valore di 250 miliardi di euro, corrispondente a circa il 15% del reddito nazionale. Nello stesso periodo, le imposte sulle successioni e sulle donazioni sono state sistematicamente   ridotte e perfino abolite tra il 2001 e il 2006. Queste dinamiche riportano in auge la vecchia   questione se le eredità rendano le società più eque o più diseguali e al tempo stesso mostrano quanto sia urgente un serio dibattito sulla tassazione delle successioni.

Gli economisti discutono da decenni sull’incidenza dei patrimoni ereditati sui complessivi patrimoni accumulati. Ma rispetto alla questione cruciale se, nel complesso, le eredità riducano o aggravino la disuguaglianza, le prove sono contrastanti e manca una risposta   univoca. Secondo alcuni studi le eredità riducono la disuguaglianza relativa di ricchezza;    secondo altri la riduzione è solo temporanea. Uno studio recente (Morelli, Nolan, Van Kerm e Palomino, 2025) si focalizza sulle dimensioni dei lasciti ereditari e indaga l’influenza sulla disuguaglianza nella ricchezza complessiva di lasciti di diverse dimensioni identificando, in particolare, le “soglie che contribuiscono alla disuguaglianza”, ovvero il livello dei trasferimenti in corrispondenza del quale essi smettono di ridurre la disuguaglianza e iniziano ad aumentarla.

Il ruolo delle eredità nell’aumentare o ridurre la disuguaglianza. Il dibattito tra gli economisti sull’influenza che il patrimonio ereditato esercita sul patrimonio complessivo accumulato è iniziato decenni fa. La controversia tra Kotlikoff e Summers (1981) da un lato e  dall’altro su quanto dell’accumulazione complessiva di patrimoni negli Stati Uniti dipendesse da eredità e quanto dai risparmi ha dato l’avvio a questo dibattito.   Studi successivi, tra cui quello di Piketty, Postel-Vinay e Rosenthal (2014), hanno rafforzato l’idea che i trasferimenti intergenerazionali svolgono oggi un ruolo centrale nel determinare la capacità di accumulazione patrimoniale.

Studi più recenti hanno provato a determinare il ruolo delle eredità nel ridurre o aggravare la disuguaglianza. Come si è detto, le prove sono contrastanti.

Alcuni studi che utilizzano dati di indagini (Wolff e Gittleman, 2014) suggeriscono che le eredità possono effettivamente ridurre la disuguaglianza relativa di ricchezza, perché i trasferimenti anche di piccola e media entità permettono al le famiglie che si trovano al centro della distribuzione di accrescere la propria accumulazione percentualmente di più rispetto alle famiglie più abbienti.

Studi che utilizzano dati amministrativi, stimando con approcci quasi-sperimentali la variazione di ricchezza degli individui prima e dopo aver ricevuto eredità – tra i quali, Boserup, Kopczuk e Kreiner, 2016 con riferimento alla Danimarca – rilevano che le eredità riducono la disuguaglianza solo temporaneamente. Tuttavia, introducendo effetti comportamentali sul consumo e sui risparmi, nel medio e lungo periodo, Nehoei e Seim (2022) dimostrano che gli eredi ricchi conservano più a lungo il patrimonio ereditato, con effetti di aumento della disuguaglianza.

Dunque, la risposta alla domanda: “le eredità contribuiscono a livellare il campo di gioco o a consolidare i privilegi?” rimane sfuggente.

Perché i risultati differiscono: dimensioni e prospettiva.  

Una delle cause delle difficoltà della letteratura scientifica sono i controfattuali utilizzati. Alcuni ricercatori simulano mondi in cui le eredità sono distribuite equamente (Feiveson e Sabelhaus, 2018). Altri esplorano cosa accadrebbe se la ricchezza ereditata non influenzasse la posizione che una persona occupa nella scala distributiva (Palomino et al., 2022). Le risposte, diverse e talvolta contrastanti, sono spesso da ricondurre a queste diverse impostazioni.

   Rilevante è anche il fatto che la maggior parte degli studi tratta le eredità come un’unica categoria, ignorando le dimensioni del trasferimento. Un’eredità modesta che aiuta una famiglia a estinguere un mutuo o ad avviare un’attività ha effetti molto diversi da un lascito multimilionario che consolida i privilegi intergenerazionali. Pochi studi distinguono empiricamente questi effetti.

Di conseguenza, mancano chiare indicazioni per il disegno di imposte di successione in grado di rendere più equa la distribuzione delle opportunità; non sappiamo, in definitiva, dove si collochi la linea di demarcazione tra trasferimenti “equalizzanti” e “disegualizzanti”.

Un nuovo approccio empirico. Nel nostro lavoro (Morelli, Nolan, Van Kerm e Palomino, 2025) misuriamo in che modo eredità di dimensioni diverse influenzano la   disuguaglianza nella ricchezza complessiva. Lo studio utilizza la metodologia della cosiddetta Influence Function (IF) regression, che pone approssimativamente la seguente domanda: cosa accadrebbe alla disuguaglianza di ricchezza se un numero (marginalmente) maggiore di persone ricevesse eredità, o se ad aumentare fossero coloro che ricevono eredità di entità diversa?

Con questo approccio, i nostri risultati identificano le “soglie che contribuiscono alla disuguaglianza”, ovvero il punto in cui i trasferimenti smettono di ridurre la disuguaglianza e iniziano ad aumentarla.

Il metodo offre tre vantaggi chiave. Prima di tutto, permette di controllare per variabili di rilevanza quali l’età e il reddito, garantendo che i risultati non riflettano solo gli effetti del ciclo di vita. In secondo luogo, si applica a qualsiasi misura di disuguaglianza, compreso il coefficiente di Gini o le quote di ricchezza possedute dai gruppi più ricchi (top shares). Infine, distingue tra trasferimenti di grande e piccola entità, consentendo una comprensione più approfondita dei loro diversi effetti.

I nostri risultati non identificano necessariamente gli effetti causali o di equilibrio generale completi. L’approccio si concentra, invece, sui cambiamenti marginali, mostrando come piccole variazioni nella quota di eredi con diversi livelli di eredità influenzerebbero la disuguaglianza di ricchezza in media.

Cosa rivelano i dati. Utilizzando i dati delle indagini sulle famiglie del 2010 per Stati Uniti, Francia, Germania, Italia, Spagna e Gran Bretagna (ottenuti utilizzando la Survey of Consumer Finance, la Household Finance and Consumption Survey e la Wealth and Asset Survey), abbiamo evidenziato che i trasferimenti di piccola e media entità tendono a ridurre la disuguaglianza di ricchezza. Queste eredità sono spesso ricevute da famiglie a reddito medio, e permettono loro di avvicinarsi al livello medio di ricchezza. Le eredità di entità molto elevata, tuttavia, aumentano la disuguaglianza. Oltre una certa soglia ogni ulteriore trasferimento di grande entità avvantaggia in modo sproporzionato coloro che sono già in posizioni di relativo vantaggio.

Quantitativamente, il punto di svolta – ovvero l’entità dell’eredità che contribuisce ad aumentare la disuguaglianza – si verifica intorno al 95° percentile della distribuzione delle eredità e donazioni complessive di ciascun paese. Ciò corrisponde a circa 507.000 dollari negli Stati Uniti, 244.000 sterline in Gran Bretagna e tra 127.500 e 346.500 euro nei principali paesi europei (Francia, Germania, Italia e Spagna). Al di sopra di tali importi, le eredità sono associate a una maggiore disuguaglianza patrimoniale complessiva.

Collegare la ricerca alle politiche di tassazione. I risultati dello studio hanno implicazioni   per il disegno della tassazione delle eredità. È interessante notare che le soglie di disuguaglianza da noi stimate sono spesso vicine alle soglie di esenzione fiscale oggi esistenti: circa 400.000 euro in Germania e 325.000 sterline nel Regno Unito. Dunque, in questi paesi le soglie di esenzione sono già vicine al punto in cui le eredità cessano di ridurre le disuguaglianze e iniziano ad aggravarle. In altri paesi, le soglie divergono. Le esenzioni della Francia e della Spagna (rispettivamente circa 160.000 euro e 16.000 euro) sono inferiori alle soglie di disuguaglianza, il che suggerisce che in quei paesi potrebbero essere tassati alcuni trasferimenti che in realtà hanno un effetto equalizzante. Al contrario, l’Italia e gli Stati Uniti hanno esenzioni molto più elevate (circa 1 milione di euro e 5 milioni di dollari nell’anno 2010, comparabile ai dati dello studio), ben al di sopra dei rispettivi livelli di inversione degli effetti delle eredità sulla disuguaglianza, il che significa che nei loro sistemi fiscali possono sfuggire alla tassazione molti trasferimenti che aggravano la disuguaglianza.

Come sostenuto da Atkinson (1972 e 2015),  – e ribadito nella relazione dell’OCSE(2021)     – nel formulare proposte di riforma della tassazione delle successioni   sarebbe più equo ed efficiente prevedere di tassare le quote ereditate da ciascun erede (non l’intero ammontare del lascito da parte del donante), esentare le eredità di modesta entità, e tassare in modo progressivo quelle di entità maggiore. Ciò appare coerente con i risultati del nostro studio che suggeriscono come la maggior parte delle eredità contribuisca a livellare il campo di gioco, ma quelle più consistenti lo inclinano nuovamente. Così facendo, inoltre, si tasserebbero soprattutto quei trasferimenti che perpetuano la disuguaglianza piuttosto che quelli che promuovono la mobilità e si renderebbe la tassazione anche più comprensibile e accettabile agli occhi dell’opinione pubblica che generalmente ha una pessima opinione di queste tipologie di imposta.

Oltre ad offrire una guida empirica per la definizione delle soglie di esenzioni fiscali sulle successioni o delle soglie per tassare le successioni in maniera più progressiva (misurate con un certo livello di incertezza e quindi da non interpretare alla lettera ma solo come una guida che indica una direzione di marcia), il lavoro di ricerca offre anche una modalità per valutare politiche pubbliche alternative. Ad esempio, cosa accadrebbe se un paese riducesse la percentuale di persone che ricevono eredità ingenti o ampliasse l’accesso a quelle modeste, in linea con le proposte di “eredità universale” come quelle avanzate dal Forum Disuguaglianze e Diversità sulla base dei lavori di Atkinson. La metodologia suggerita in questo studio potrebbe simulare tali cambiamenti e il loro potenziale effetto sulla disuguaglianza.

In un momento in cui la concentrazione della ricchezza è in aumento e la “lotteria della nascita” determina sempre più i risultati della vita, una guida basata su dati concreti è preziosa. Se le società mirano a promuovere le pari opportunità, il messaggio è chiaro: proteggere le piccole eredità che promuovono la mobilità, ma tassare quelle di maggiore entità che consolidano i privilegi.