Intelligenza artificiale: l’approccio USA e quello cinese
A distanza di pochi mesi gli USA e la Cina hanno varato i loro piani per affrontare le sfide poste dalla AI e per incoraggiarne lo sviluppo. Scopo di queste note è illustrare gli approcci adottati nei due piani e metterne in luce la radicale diversità.
Il piano USA. L’America’s AI Action Plan, datato luglio 2025, si fonda su massicci investimenti privati delle Big Tech che finora hanno assicurato agli USA il primato in queste tecnologie, che tuttavia dipende al 100% dai microchip della Taiwanese TSMC prodotti per NVIDIA.
Il piano USA prevede grandiosi investimenti per ridurre la dipendenza dall’estero per i componenti e per le nuove immense esigenze di energia di cui la AI necessita. Si tratta di finanziamenti a grandi industrie private che non è dato sapere come impiegheranno questi fondi, oltre il già avviato piano Stargate di costruzione di grandi data centers; se, semplicemente, per favorire l’ingresso negli Stati Uniti di industrie come la TSMC (che ha appena aperto un impianto di produzione di semiconduttori avanzati in Arizona) o, invece, per sviluppare una filiera nazionale come sta accadendo, in parte, per Oracle, OpenAI e SoftBank, che tuttavia si appoggiano ancora su centri di sviluppo asiatici.
Il piano americano si sviluppa tutto attorno al mantenimento della leadership mondiale, al contrasto della Cina e pone l’attenzione sulla la sicurezza nazionale; quindi, su un massiccio impiego in campo militare, di ordine pubblico e di intelligence. Altro punto importante appare il primo pilastro del piano: la totale deregolamentazione in materia di AI. Tutte le agenzie federali sono incaricate di rivedere e abrogare regolamenti, linee guida, ordini amministrativi, accordi interagenzia e provvedimenti che ostacolano lo sviluppo dell’IA. Nulla a che fare dunque con i dispositivi europei che al contrario tentano di arginare l’applicazione dell’AI in nome ad esempio della privacy, o di vaghi principi etici, con linee guida fumose e aperte alle più disparate interpretazioni da parte degli Stati membri.
Per quanto riguarda gli effetti dell’applicazione dell’AI in termini di trasformazione del lavoro nei prossimi anni, il piano americano mette in conto la probabile futura perdita di posti di lavoro, prevedendo che: “le agenzie federali studieranno l’impatto dell’AI sul mercato del lavoro utilizzando dati già raccolti, come le tendenze di adozione AI a livello aziendale. Questi enti forniranno analisi sui benefici, i cambiamenti occupazionali e l’effetto sugli stipendi.” E ancora occorrerà “finanziare programmi di riqualificazione rapida per chi è colpito dalla dislocazione del lavoro causata dall’introduzione dell’AI, ed emanare linee guida per aiutare gli Stati a identificare i lavoratori a rischio nei settori che subiscono grandi cambiamenti collegati all’adozione AI.” La soluzione suggerita pare essere dunque il solo “retraining rapido” per chi perde il lavoro o rischia di perderlo a causa della mancanza di sviluppo delle competenze, da attuare tramite corsi di formazione aziendali.
L’alfabetizzazione sull’AI e lo sviluppo delle competenze restano quindi centrali come metodo per traghettare il mondo del lavoro in questa nuova era. Anche questo settore, pur definito strategico, è lasciato fondamentalmente ai privati, ma sovvenzionato con fondi pubblici. Fanno eccezione le ricerche e commesse legate alle applicazioni in campo militare.
Il piano cinese. Il Piano AI plus Initiative cinese, pubblicato a settembre 2025, al contrario di quello Americano, è una direttiva del Governo centrale, che lo rende immediatamente applicabile e non dipendente da accordi con i partner privati. È la naturale prosecuzione di quello che fu l’”Internet plus initiative”, il piano decennale per la digitalizzazione della Cina, lo sviluppo del 5G e la diffusione della rete, il cui obiettivo era quello di connettere i vasti territori della Repubblica popolare. L’AI Plus è un programma estremamente ambizioso per l’applicazione delle nuove frontiere della tecnologia nella vita quotidiana.
Come dichiarato nelle linee guida del Consiglio di Stato cinese, l’AI non è trattata come un mero strumento che darà nuova linfa all’industria o garantirà la leadership mondiale in termini di potenza o controllo. La Cina considera l’AI come un vero e proprio settore strategico su cui puntare per lo sviluppo industriale sì, ma anche per la conoscenza scientifica, la cultura, l’istruzione, la medicina, l’assistenza sociale, l’agricoltura, la lotta ai cambiamenti climatici e all’inquinamento, la guerra, persino la governance politico amministrativa e ogni ambito della società
Entro il 2027 viene previsto un tasso di penetrazione dell’AI del 70% nei settori strategici quali l’industria, i servizi e la governance. L’AI diventerà dunque la metodologia predefinita di programmazione politica, industriale ed economica. Entro il 2030 la penetrazione sarà del 90%. L’AI diventerà dunque un bene primario come l’elettricità, l’acqua o internet. Per arrivare nel 2035 ad una fusione totale del rapporto uomo macchina.
Andando al di là dalla solennità propagandistica dei documenti del Partito comunista cinese, il piano prevede molte azioni concrete nella direzione indicata. La prima, particolarmente scioccante per noi italiani, è l’introduzione dell’AI nelle scuole sia come materia di studio (nelle università cinesi si sono aperti corsi sull’AI già da anni), sia come supporto scolastico, ovvero come strumento didattico sin dalle scuole primarie. Mentre in Italia le circolari ministeriali vietano l’utilizzo degli smartphone e il ricorso a chatbot nelle scuole e nella vita degli studenti, in Cina si fa esattamente il contrario. Si studia imparando ad usare al meglio le chatbots, e, anzi, a studiare nuove applicazioni per l’apprendimento più performante e rapido. Laddove l’alfabetizzazione sulla AI negli USA è fondamentalmente appannaggio della formazione professionale, in Cina è già strumento scolastico riconosciuto e valido. E questo prevedibilmente porterà ad una generazione pronta a far parte del nuovo mondo che ci attende con l’avvento dell’AI, governandolo e non subendolo. Almeno queste sono le aspettative di Xi Jinping.
Uno dei pilastri di questo piano, presente anche nel piano degli USA, è il raggiungimento dell’indipendenza nella fabbricazione di chip di altissima qualità e in tutta la filiera industriale collegata alla AI in tutto il paese, in modo da garantire la totale indipendenza della Cina dal resto del mondo. Attualmente la Cina è indietro in questo campo, ma ha dalla sua due elementi fondamentali: le terre rare e i metalli critici disponibili in grandi quantità nel proprio territorio, e soprattutto i 4,5 milioni di laureati ogni anno in materie STEM.
L’open source è un altro punto fondamentale del programma cinese: è un modello di sviluppo in cui il codice sorgente di un software è pubblico e accessibile e quindi sviluppabile da tutti. I vantaggi di questo approccio si sono già visti con il rilascio di Deep Seek, il Chatbot cinese che compete con ChatGPT di OpenAI. Questo concetto declina perfettamente l’idea di Intelligenza artificiale intesa come bene comune che, come tale, deve risultare disponibile per tutti creando un “socialismo informatico” che predispone strumenti universali utilizzabili da ciascuno secondo le proprie capacità e i propri bisogni e al quale tutti possono apportare i propri contributi in un’ottica di sviluppo collettivo.
Deep Seek è un esempio emblematico di questa concezione. Nato per aggirare l’impossibilità di utilizzare le CPU di NVidia a causa dell’embargo americano, ha portato allo sviluppo di una AI performante come Open AI, ma con l’impiego di un decimo dei fondi e di consumo energetico. Se fino all’avvento di Deep Seek lo sviluppo dei Large Language Model seguiva la legge di scala secondo cui la capacità dei modelli linguistici aumenta con la massimizzazione della potenza computazionale, e necessita dunque di sempre maggiori fondi e mezzi performanti, con l’avvento dell’AI della startup cinese, sviluppata ottimizzando i modelli già esistenti, con un processo chiamato “distillazione” che dà la possibilità a modelli più piccoli di “apprendere” da quelli più grandi con un risparmio enorme in termini di costi e consumi, tuttavia il dibattito sulla possibilità di modelli meno impattanti è ancora aperto.
Non c’è molto nel Piano AI plus sul mondo del lavoro, ma abbiamo indicazioni specifiche nelle linee guida promulgate nel Parere numero 11 del 2025 del Consiglio di Stato Cinese, che prevede di “sfruttare attivamente il ruolo dell’intelligenza artificiale nella creazione di nuovi posti di lavoro e nel potenziamento delle posizioni tradizionali; esplorare nuove strutture organizzative e modelli di gestione per la collaborazione uomo-macchina.”
E’ interessante poi come vengano previsti campi di applicazione dell’AI unitamente alla robotica “in posizioni caratterizzate da carenza di manodopera e alti rischi ambientali”. Infine “sostenere con forza la formazione sulle competenze di intelligenza artificiale per stimolare l’innovazione, l’imprenditorialità e il reimpiego nel settore. Rafforzare le valutazioni del rischio occupazionale per le applicazioni di intelligenza artificiale, indirizzare le risorse di innovazione verso aree con un elevato potenziale di creazione di posti di lavoro e ridurre l’impatto sull’occupazione.”
Tutto questo perché si prevede che l’AI darà supporto a tutti i cittadini cinesi nelle loro attività quotidiane, dagli affari burocratici al ricorso a medici AI per l’individuazione precoce di malattie e per l’orientamento alla diagnostica. Si prevede anche che l’AI sarà una risorsa indispensabile per il miglioramento della qualità della vita soprattutto per le aree più disagiate e per le fasce più fragili della popolazione. Alla luce di tutto ciò si comprende perché sarà necessaria una forza lavoro in grado di assicurare gestione, insegnamento, controllo e sviluppo. Prevedere la formazione nelle scuole sin da ora, prevedibilmente permetterà di far fronte a tutto ciò in modo più veloce e meno traumatico per i livelli occupazionali.
Conclusioni. Quale delle due strategie sarà più efficiente e garantirà il migliore impatto dell’AI sulle rispettive società? La risposta potrà essere data solo in futuro.
La situazione attuale vede negli USA le più grandi e potenti industrie impegnate nel settore, un avanzamento a livello infrastrutturale e fondi in grande quantità. La Cina ha dalla sua, come sostenuto anche da Pieranni in uno dei suoi ultimi podcast, “un numero nettamente superiore di pubblicazioni e brevetti sull’AI, inoltre Pechino ha un numero di talenti in crescita a un ritmo annuale del 15% rispetto all’8% degli Stati Uniti, impiegando più ricercatori sull’AI rispetto a Stati Uniti ed Europa messi insieme.”
Secondo un articolo dell’Economist di settembre 2025, che fa riferimento all’”effetto Pechino”, “il modello di governance dell’AI della Cina potrebbe diventare un modello globale perché guidato dallo Stato a differenza del modello statunitense incentrato sul settore privato.” E’ il Governo, infatti, che agisce come finanziatore chiave e primo acquirente di prodotti e servizi AI nazionali (come è stato per le auto elettriche e prima ancora per le infrastrutture) basando la propria strategia su uno sviluppo rapido e su larga scala di applicazioni AI economiche e accessibili per una adozione di massa, anziché focalizzarsi sui progressi tecnologici di frontiera (ovvero i progressi di innovazione e avanzamento tecnologico).”
La Cina sta promuovendo il suo modello di governance come alternativa al monopolio tecnologico degli Stati Uniti, inarrivabile per molti Paesi, compresi gli stati dell’Unione Europea, che quindi rischiano l’assoggettamento alle Big Tech statunitensi. L’esportazione di questo modello potrebbe creare un ecosistema digitale globale e duale in cui la convenienza e il controllo sociale sono prioritari rispetto alle libertà individuali e alla privacy. Cosa che, ad esempio, sta già accadendo in Vietnam e, anche se in maniera minore, in Corea del Sud, o negli Emirati Arabi dove per la prima volta al mondo viene utilizzato un sistema AI per legiferare. Se ciò avvenisse avrebbe senso chiedersi non quale Nazione sia più avanti (e per molti osservatori la Cina ha già vinto), ma piuttosto quale sistema globale si dimostra vincente, in modo analogo a quanto già avvenuto con le piattaforme internet e social nelle quali il “fediverso” cinese è un sistema proprio, totalmente scollegato dai prodotti dei colossi tech americani.