Euro digitale: a che punto siamo?
Riccardo De Bonis, un nostro caro amico, ci ha lasciato il 14 novembre scorso. Lo ricordiamo, con grande tristezza, pubblicando nuovamente un articolo che scrisse per il Menabò nel novembre del 2022, preceduto da un breve ricordo di Enrico Saltari che con Riccardo ha avuto un’assidua frequentazione.
Riccardo, che voleva rendere l’economia più lieve
Enrico Saltari
Ho conosciuto Riccardo De Bonis molti anni fa, anche se non ricordo esattamente in quale circostanza l’ho incontrato la prima volta. Ricordo però perfettamente che, per lungo tempo, lo invitai a tenere alcuni seminari all’interno del corso di Economia Finanziaria. All’epoca Riccardo coordinava il Servizio Analisi Statistiche della Banca d’Italia; i suoi interventi riguardavano gli aggregati monetari e l’evoluzione della loro definizione nel tempo, soprattutto alla luce degli avvenimenti più recenti. Un tema che poteva risultare noioso per gli studenti. Proprio a questo riguardo ebbi modo di apprezzare una delle sue grandi doti: sapeva presentare gli argomenti con straordinaria chiarezza, collegandoli al funzionamento del sistema bancario, alle decisioni di politica monetaria e agli eventi che le avevano rese necessarie, stimolando l’interesse di chi lo ascoltava.
Vorrei ricordare uno di quegli interventi. I quattro seminari che tenne nel 2013 furono dedicati alla crisi finanziaria del 2007 e a come innescò la crisi dei debiti sovrani degli anni successivi con il risultato di mettere in dubbio la stessa sopravvivenza dell’euro. Riccardo illustrò come la BCE fosse intervenuta in sua difesa anche con misure di politica monetaria non convenzionali, e spiegò i meccanismi di finanziamento dei paesi in difficoltà, tra cui il (famigerato) MES. Oggi nessuno mette più in dubbio l’euro ma poco più di dieci anni fa le posizioni erano molto più variegate. Il suo messaggio in proposito era che l’unico modo efficace per ridare fiducia all’euro fosse dare piena attuazione all’unione politica, un progetto a lungo termine da realizzare passando attraverso l’unione monetaria ed economica. È superfluo aggiungere che quel progetto non è stato portato a termine.
Quegli incontri crearono un legame importante tra me e Riccardo. Terminati i seminari continuavamo spesso a discutere, parlando della nostra comune formazione alla Sapienza e dei nostri rapporti con alcuni docenti, come Fausto Vicarelli, di cui io ero stato assistente e Riccardo studente. Mi piaceva la leggerezza con cui affrontava certi temi. Ricordo, ad esempio, quando parlavamo di diversificazione: Riccardo amava spiegarla con una metafora calcistica, osservando che diversificare non significa acquistare qualche azione della Roma e qualcuna della Lazio, perché entrambe “appartengono allo stesso campionato”.
Successivamente collaborammo a un progetto culminato, proprio quest’anno, nella pubblicazione di Risparmio e ricchezza. Come cambia la finanza delle famiglie, uscito per Carocci, al quale ha dato un contributo decisivo un nostro comune amico, Luigi Infante. Riccardo si era occupato in passato di molti dei temi affrontati nel libro, e mi fece molto piacere discuterne con lui. Fu anche l’occasione per approfondire la nostra amicizia. Scoprii così i suoi molteplici interessi, dall’arte alla letteratura. Ne è prova la scelta delle citazioni che aprono ogni capitolo del libro, molte delle quali Riccardo ricordava a memoria. Non si trattava, però, di uno sfoggio di cultura, ma del suo modo di avvicinare il lettore a temi che potevano apparire ostici.
Mi piace ricordare Riccardo soprattutto per questo: per la sua capacità di collocare l’economia in un contesto culturale più ampio, rendendola più comprensibile e, in definitiva, più lieve. E non credo sia un caso che il suo ultimo incarico in Banca d’Italia sia stato proprio quello di occuparsi di educazione finanziaria. Il pensiero di quanti hanno perso la possibilità di incontrare Riccardo si aggiunge al dolore per la sua scomparsa.
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Euro digitale: a che punto siamo?*
Riccardo De Bonis
Le scelte della Banca centrale europea. Nell’ottobre del 2020 la Banca centrale europea (BCE) ha presentato il suo primo rapporto sull’euro digitale. All’inizio del 2021 si è svolta una consultazione del pubblico sulle caratteristiche che l’euro digitale dovrebbe avere, con la partecipazione di 8.000 cittadini europei. Nel settembre del 2021 la Bce ha lanciato una fase investigativa sulla possibilità di creare un euro digitale, della durata di due anni, che non vincola una futura decisione: solo nell’autunno del 2023 il Consiglio Direttivo della BCE deciderà se passare alla fase realizzativa del progetto.
Perché la BCE ha deciso di impegnarsi sull’iniziativa?
I pagamenti stanno diventando sempre più digitali. Con l’esplosione della pandemia abbiamo fatto più pagamenti usando strumenti elettronici. È una conseguenza in parte scontata. Non si poteva uscire di casa, andare al cinema o al teatro; molti negozi erano chiusi. Era complicato andare in banca, allo sportello dell’ATM, a prelevare le banconote, la moneta legale. È cresciuto il commercio elettronico. Sono aumentati gli acquisti on line, fatti con le carte di pagamento e i bonifici, mentre è sceso il numero dei pagamenti eseguiti con il contante. La pandemia ha accelerato tendenze già in atto prima del 2020. È probabile che non torneremo indietro. Saremo sempre più spesso pagatori digitali, continuando a usare i depositi bancari (o moneta bancaria). Ma nel mondo digitale si muovono anche le criptoattività, delle quali Bitcoin e le stable coin sono gli esempi più significativi. Vediamone andamenti e caratteristiche.
Le criptoattività e Bitcoin sono in crisi. Le criptoattività, di cui Bitcoin rappresenta la quota di mercato maggiore, sono nate oltre dieci anni fa. Bicoin non è moneta legale, perché non esiste un obbligo di accettazione; non è moneta bancaria, perché per lo strumento non sono in vigore regole di vigilanza e di tutela come, ad esempio, l’assicurazione dei depositi. Bitcoin non ha sfondato neanche come mezzo di pagamento. È stato utilizzato soprattutto come un investimento, il cui valore è cambiato in misura rilevante e repentina nel tempo: il prezzo di Bitcoin può variare anche del 10-15 per cento in una giornata, molto di più di quanto osserviamo per l’oro o per le azioni. È un prodotto speculativo, senza valore intrinseco; da anni le banche centrali hanno avvertito dei rischi, in particolare per i piccoli risparmiatori, degli investimenti in criptoattività e Bitcoin (si veda, ad esempio, questo invito della Banca d’Italia).
Il 2021 era stato un anno positivo per Bitcoin, che aveva superato in novembre i 65.000 dollari, raggiungendo il suo massimo storico; alla stessa data il valore di tutte le criptoattività aveva oscillato intorno ai 3.000 miliardi di dollari. Il 2022 è stato invece un anno drammatico per le criptoattività. L’incremento dell’inflazione, il rialzo dei tassi di interesse operato dalle banche centrali, l’aumento dell’incertezza sulla congiuntura economica, le tensioni geopolitiche hanno determinato una fuga degli investitori dalle attività più rischiose. I prezzi delle criptoattività sono crollati. Oggi Bitcoin oscilla al di sotto dei 20.000 dollari e il valore di tutte le criptoattività è sceso a 800 miliardi di euro (per le statistiche sulle cripto si veda qui). La proprietà di Bitcoin rimane molto concentrata in un numero ristretto di soggetti: è probabile che resterà un prodotto di nicchia, poco diffuso tra il pubblico.
Le stable coin sono diverse tra loro. Bitcoin è un’attività detenuta da un numero, piccolo, di soggetti, ai quali non corrisponde una passività di altri operatori. Questa caratteristica, insieme alla volatilità del prezzo, ne ha limitato la diffusione. Nel mercato delle criptoattività si è così sviluppata l’offerta di stable coin emesse da intermediari e altri operatori, localizzati soprattutto negli Stati Uniti; Tether ne è un esempio. Le stable coin sono monete private: si consegna all’emittente un dollaro e si riceve una stable coin. Il nome esprime l’idea che gli emittenti avevano per renderla appetibile, che però si è rivelata spesso una chimera: offrire una moneta dal valore stabile, che non cambi nel tempo, per cercare di avvicinarsi al grado di accettazione della moneta legale e della moneta bancaria. L’obiettivo è perseguito attraverso due tipi di strategie.
(i) La prima categoria sono le asset-linked stablecoins: strumenti elettronici emessi a fronte di riserve che includono attività come obbligazioni di Stati sovrani con rating elevato, depositi bancari, valute (sono anche indicate come fully-backed stablecoins o asset referenced tokens).
(ii) La seconda categoria sono le stable coin algoritmiche: il loro valore è stabilizzato da un algoritmo, che aggiusta automaticamente la quantità disponibile dello strumento in funzione delle variazioni della domanda.
Nel 2022 anche le stable coin sono entrate in crisi. Il caso più eclatante è quello dello strumento algoritmico Terra-Luna, che, nello scorso mese di maggio, non ha saputo assicurare la convertibilità con il dollaro, crollando a valori inferiori al centesimo. Il mondo delle stable coin non è regolamentato. Chi ha consegnato un dollaro, e in cambio ha ottenuto una stable coin, non è certo di poter avere indietro il dollaro inizialmente investito. E gli acquisti di criptoattività avvengono spesso su piattaforme anch’esse non regolamentate. Il fallimento della piattaforma FTX nel novembre del 2022 ha aumentato lo scetticismo nei confronti delle criptoattività. Va però riconosciuto che hanno resistito alla crisi le stable coin trasparenti sulle strategie di investimento e sulle informazioni fornite agli investitori.
I Governi e le banche centrali hanno reagito al lancio delle stable coin, sottolineando l’assenza di tutele per i risparmiatori colpiti da frodi o da mancati rimborsi, i rischi di utilizzo per riciclaggio e finanziamento del terrorismo, la mancanza di norme sulla privacy. In tutto il mondo si discute dell’introduzione di regole per il controllo delle criptoattività, incluse le stable coin. In Europa i paesi hanno raggiunto l’accordo sul Markets in Cripto Assets Regulation, (Micar): sarà approvato nel 2023 ed entrerà in vigore verso la fine del 2024, introducendo regole su emittenti, offerenti o fornitori di servizi in criptoattività.
Che cosa è e perché potremmo fare l’euro digitale? Come abbiamo visto, le nostre economie e i nostri pagamenti stanno diventando sempre più digitali. È naturale che circa l’80 per cento delle banche centrali al mondo stia valutando l’ipotesi di lanciare delle monete digitali pubbliche. Vediamo le caratteristiche che il progetto potrebbe assumere in Europa.
L’euro digitale è la forma digitale della banconota. In futuro la domanda di contante da parte del pubblico potrebbe ridursi. Oggi possiamo in ogni momento trasformare 100 euro di depositi in 100 euro di banconote. Ma se la domanda di banconote si riducesse, sarebbe importante offrire un’alternativa ai cittadini, sempre più digitalizzati: in futuro sarà così possibile trasformare 100 euro depositati sui nostri conti correnti in 100 euro digitali. L’euro digitale è un’àncora introdotta nel sistema dei pagamenti, un’àncora che si aggiungerà alle banconote, il cui futuro, come detto, è incerto.
L’euro digitale servirà ad assicurare la sovranità monetaria dell’Europa e la sua autonomia strategica. Anche se il mondo delle criptoattività, incluse le stable coin, dovesse sparire, va ricordato che 2/3 dei pagamenti fatti in Europa con carte di pagamento sono gestiti da società insediate fuori dai confini in europei; si tratta soprattutto di aziende americane, in particolare dei circuiti Visa e Mastercard. Il progetto dell’euro digitale porterebbe, sulla base della collaborazione tra settore pubblico e sistemi bancari, alla creazione di un circuito europeo per la gestione dei pagamenti.
L’euro digitale sarà uno strumento di pagamento, non una riserva di valore. Non vogliamo intaccare in forte misura i depositi bancari, perché altrimenti avremmo effetti negativi sull’offerta e sul costo dei prestiti per famiglie e imprese. Per raggiungere l’obiettivo di un euro digitale che sia soprattutto strumento di pagamento si sta pensando all’introduzione di limiti di detenzione per ogni cittadino – sono state ipotizzate soglie intorno ai 3.000 o 4.000 euro – e a penalizzazioni basate su tassi di interesse disincentivanti per investimenti di ammontare superiore.
Potrebbero esserci due tipi di pagamenti in euro digitali. Per i piccoli pagamenti (fino a 50 euro?), il trasferimento sarebbe simile a quello del contante, anonimo, senza dare luogo a registrazioni. Per transazioni di importo elevato, le operazioni sarebbero registrate dagli intermediari, per rispettare le regole contro il riciclaggio di denaro sporco e il finanziamento del terrorismo. In altre parole, le banche centrali forniranno la materia prima – come oggi fanno per le banconote – ma l’euro digitale sarà distribuito da banche e altri intermediari.
L’euro digitale potrebbe contribuire all’internazionalizzazione dell’euro, favorendone l’utilizzo fuori dell’area; vanno però evitati i rischi di fughe dalle monete nazionali dei paesi emergenti verso l’euro digitale. Quest’ultimo potrebbe aiutare l’inclusione finanziaria dei migranti, migliorando i pagamenti internazionali: i flussi delle rimesse estere superano i 700 miliardi di dollari all’anno. In generale, i pagamenti internazionali sono costosi e le iniziative di molte istituzioni per ridurne le commissioni sono difficili da portare a termine. L’euro digitale potrebbe inoltre aiutare a fronteggiare eventi estremi come le pandemie, durante le quali l’accesso dei cittadini ai pagamenti e agli introiti in forma digitale è cruciale.
Le banche centrali europee si stanno interrogando sui possibili casi d’uso dell’euro digitale, in modo da disegnarlo in maniera tale da rispondere meglio alle necessità dei futuri utilizzatori. I lavori coinvolgono le banche, altri intermediari, le associazioni dei consumatori. Tre sono le ipotesi di utilizzo finora identificate e sulle quali si stanno conducendo approfondimenti: (i) pagamenti tra individui, che oggi avvengono prevalentemente con bonifici da conto a conto; (ii) pagamenti al negozio, fisico o on-line, per cui utilizziamo in prevalenza carte di pagamento; (iii) pagamenti pubblici, ad esempio gli stipendi o i sussidi che le amministrazioni pubbliche erogano ai cittadini e alle imprese e, viceversa, i pagamenti effettuati dai cittadini alla pubblica amministrazione, come le tasse.
Le decisioni politiche. Il progetto dell’euro digitale implica la soluzione di complesse questioni tecnologiche e legali. Secondo l’articolo 133 del Trattato dell’Unione europea, fatti salvi i poteri della BCE, il Parlamento Europeo e il Consiglio stabiliscono le misure necessarie per l’uso dell’euro come moneta unica, consultandosi con la stessa BCE. La Commissione europea ha annunciato che presenterà una proposta legislativa sul tema nel secondo trimestre del 2023, affrontando argomenti come la privacy e la natura di moneta legale dell’euro digitale.
La moneta pubblica implica scelte politiche: era vero 2.600 anni fa, quando i sovrani delle città stato greche iniziarono a imprimere la loro immagine su una delle due facce delle monete metalliche coniate. È vero anche oggi.
* Questa nota si basa in parte su un contributo più ampio pubblicato nel Quaderno “Narrazioni” della Collana di volumi dell’Associazione ex alunni e docenti del liceo Giulio Cesare di Roma, novembre 2022. Le opinioni presentate nel testo sono personali e non impegnano la responsabilità della Banca d’Italia.