Finanza

Come l’esperimento svedese sul welfare è diventato un avvertimento per l’Europa

L’Autorità svedese per la criminalità economica ha recentemente riferito che un certo numero di centri sanitari, servizi di vaccinazione, scuole, asili e farmacie sono stati rilevati dalla criminalità organizzata. Si tratta di un inquietante promemoria del fatto che l’esternalizzazione e la privatizzazione hanno trasformato lo stato sociale svedese in modo irriconoscibile – un destino che ora potrebbe toccare ad altri stati sociali in Europa.

L’esternalizzazione, la privatizzazione e l’introduzione di sistemi di voucher a partire dagli anni ’90 hanno portato alla commercializzazione dei servizi sociali in Svezia in misura maggiore che in qualsiasi altro Paese europeo. La conseguenza è stata una trasformazione della nazione: quello che una volta era spesso descritto come un ideale socialdemocratico ora è visto più come una vetrina neoliberale. Sono state anche create una serie di società assistenziali molto ricche, che ora si stanno espandendo in altri Paesi europei.

In “Don’t Try This at Home“, un rapporto recentemente pubblicato dalla Friedrich-Ebert-Stiftung, Mia Laurén ed io esaminiamo le conseguenze di questo sviluppo e come le aziende svedesi di welfare a scopo di lucro stiano ora cercando di espandere le loro attività e i loro modelli di business all’estero.

Negli anni ’90, la Svezia ha aperto i suoi servizi di welfare finanziati dalle tasse ad attori privati, nell’ambito di quello che gli studiosi Jenny Andersson e Chris Howell, nella loro antologia “Nordic Neoliberalisms“, pubblicata di recente, definiscono un “profondo processo di neoliberalizzazione”, una “riorganizzazione delle società di welfare intorno alla forma di mercato”. 

L’idea era che la concorrenza tra diversi attori avrebbe aumentato l’efficienza e dato agli utenti dei servizi (studenti, pazienti, ecc.) “libertà di scelta”. Invece di privatizzare attraverso gli appalti pubblici, dove i servizi acquistati da fornitori privati sono definiti nei contratti e limitati nel tempo, la Svezia ha scelto una privatizzazione in stile voucher, ispirata a Milton Friedman, in settori quali i servizi per l’impiego, la sanità, le scuole e gli asili. Sebbene l’obiettivo dichiarato delle riforme fosse quello di aumentare la libertà di scelta, l’opinione pubblica svedese è diventata sempre più consapevole del fatto che le riforme hanno portato più che altro a una proliferazione di fornitori privati che compromettono la qualità per massimizzare i profitti.

L’istruzione è stata il primo ambito di applicazione della privatizzazione svedese dei servizi sociali finanziati interamente dalle tasse. Il finanziamento delle scuole pubbliche svedesi realizzato con i voucher è stato introdotto nel 1991. L’idea era che gli alunni e le loro famiglie potessero scegliere come spendere le risorse stanziate per la scuola, ovvero se frequentare una scuola gestita pubblicamente o utilizzare il voucher in una scuola privata. Inevitabilmente, però, sono soprattutto le famiglie privilegiate a poter esercitare la “libertà di scelta”. Le scuole private prediligono gli alunni più ‘redditizi’; a quelli socialmente svantaggiati spesso non restano che le scuole pubbliche. Oltre ad aumentare la segregazione socio-economica ed etnica, la riforma del sistema scolastico svedese è stata dannosa per la qualità dell’istruzione. Nessun altro Paese ha registrato un calo così rapido come la Svezia dei risultati nelle classifiche del Programma per la valutazione internazionale degli studenti (PISA) dell’OCSE.

Tuttavia, le corporation scolastiche svedesi si stanno espandendo in altri Paesi europei. Recentemente, AcadeMedia, che ha 107 scuole dell’infanzia in Svezia, ha acquistato in un colpo solo 113 scuole dell’infanzia in Finlandia e si sta espandendo rapidamente sul mercato tedesco: possiede già 98 unità scolastiche in sei diversi Bundesländer.

Nel 2010, un sistema di voucher è stato reso obbligatorio anche nell’assistenza primaria svedese finanziata dalle tasse. Come per il sistema scolastico, l’obiettivo della riforma sanitaria era quello di aumentare la “libertà di scelta” dei pazienti. Quando il National Audit Office svedese ha effettuato la prima valutazione approfondita, nel 2014, ha concluso che il sistema dei voucher ha contribuito a un maggiore ricorso alle cure, ma anche a un’assistenza più diseguale, che ha favorito i pazienti con minori esigenze di assistenza ma di status socio-economico più elevato.

L’assistenza digitale si è rivelata particolarmente redditizia per i fornitori privati e in Svezia si è assistito a un’esplosione virtuale di servizi sanitari digitali. Come altre forme di assistenza a scopo di lucro, essa è orientata a persone con sintomi più lievi, come acne o raffreddori comuni. Si tratta di cure rapide e poco costose per le aziende, ma che gravano sui bilanci regionali e fanno sì che i fondi vengano reindirizzati verso persone relativamente sane e con esigenze limitate, allontanandole da persone con maggiore necessità di cure mediche. Kry, la più grande azienda privata svedese nel settore della sanità digitale, si è ora stabilita in Norvegia, Francia, Regno Unito e, più recentemente, in Germania.

Anche le società svedesi di assistenza agli anziani a scopo di lucro si stanno espandendo rapidamente all’estero. Le due più grandi, Attendo e Ambea, hanno entrambe attività in Norvegia e Danimarca, e Ambea ha recentemente acquistato la società finlandese Validia Oy. Ciò che viene esportato dalla Svezia sono aziende note per il loro ricorso ai contratti di lavoro temporanei e a tempo parziale. La pandemia ha evidenziato le conseguenze di questa politica di precarietà: una ricerca commissionata dalla commissione d’inchiesta statale svedese sulle conseguenze della pandemia Covid-19 ha concluso che un maggiore turnover del personale ha portato a un aumento dei tassi di mortalità.

I problemi della privatizzazione svedese non finiscono qui. Le perquisizioni in due  nella città di Göteborg, del marzo 2025, sono l’ultimo sviluppo di una tendenza all’infiltrazione criminale nei servizi sociali svedesi finanziati dalle tasse. La privatizzazione dei servizi sociali finanziati dalle tasse avrebbe contribuito all’aumento dei problemi della Svezia con le bande criminali.

Le privatizzazioni su larga scala in Svezia hanno permesso alle imprese di sviluppare modelli di business redditizi e hanno fatto sorgere fornitori di servizi sociali privati molto ricchi, spesso di proprietà di multinazionali e società di venture capital. Queste aziende e società di venture capital sono ora pronte a espandersi all’estero in vari settori del welfare e se non vengono arginate, entreranno in competizione con i fornitori locali di servizi di welfare, rafforzando la lobby per un maggiore ricorso al mercato e modificando la destinazione dei fondi fiscali per la fornitura di welfare in diversi Paesi europei, proprio come è successo in Svezia.

È importante sottolineare un ulteriore “fattore di rischio”: il persistere della visione un po’ romantica dello stato sociale svedese come uno stato sociale socialdemocratico archetipico. 

Questa visione romantica può essere sfruttata dalle aziende svedesi che si occupano di welfare quando si espandono in altri Paesi. Per esempio, quando offrono servizi di assistenza all’infanzia in Germania, le aziende svedesi cercano di evocare quella visione, presentando bambini biondi che giocano in prati e boschetti di betulle in stile Astrid Lindgren così da nascondere la natura for-profit delle loro operazioni.

C’è, dunque, il rischio che le aziende svedesi del welfare – dotate di venture capital internazionale – svolgano ora un ruolo distruttivo in altri Paesi europei. Queste aziende non hanno nulla in comune con lo stato sociale svedese, che un tempo veniva dipinto come un modello progressista da seguire per gli altri Paesi. Ora il messaggio deve essere: non provateci a casa nostra.