Le imposte sul patrimonio: alcuni punti critici
È utile premettere lo stato dell’arte in Italia. Abbiamo imposte patrimoniali sia sulla ricchezza immobiliare che su quella finanziaria. Sulla prima grava l’IMU, sui cespiti finanziari un’imposta di bollo, che di fatto è una patrimoniale. Sono imposte reali, non personali, e proporzionali, non progressive. Assicurano un gettito piuttosto rilevante. Ad esse si aggiungono le imposte sui trasferimenti di ricchezza: l’imposta sulle successioni e donazioni, il registro, le ipotecarie e catastali.
La proposta di istituire un’imposta progressiva sul patrimonio netto delle persone fisiche, originariamente avanzata a livello accademico da T. Piketty (Capital in the 21st Century. Harvard University Press, 2014) come forma di tassazione universale, da applicare in tutto il mondo, è stata recentemente riproposta a livello nazionale in diversi paesi (tra cui gli USA) e anche a livello di Unione Europea, nel solco del contributo di E. Saez e G. Zucman (The Triumph of Injustice: How the Rich Dodge Taxes and How to Make Them Pay, WW Norton & Company, 2019). Rientra in senso lato tra le azioni volte a “tackle inequalities and promote fairer and more progressive tax systems” e “ensure that ultra-high-net-worth individuals are effectively taxed” (Dichiarazione dei G20, Rio de Janeiro, 18-19 novembre 2024).
Ha precedenti storici: l’imposta sulle grandi fortune e l’imposta di solidarietà sulla fortuna, in vigore in Francia rispettivamente dal 1982 al 1987 e dal 1989 al 2017, che tassavano in modo progressivo la ricchezza netta delle persone fisiche, con una franchigia iniziale esente e la famiglia come unità impositiva. Dal 2018 è stata sostituita dall’imposta sulla fortuna immobiliare, che esclude i cespiti finanziari. La motivazione è che induceva alla delocalizzazione dei cespiti finanziari e allo spostamento all’estero della residenza dei contribuenti.
In Italia, nel corso del dibattito parlamentare sulla legge di bilancio per il 2021, fu avanzata la proposta di una patrimoniale personale, ordinaria e progressiva (con aliquote da 0,2 a 3 per cento) sull’intero patrimonio individuale.
La proposta era criticabile sotto diversi punti di vista. In primo luogo, è piuttosto facile eluderla (o evaderla). La patrimoniale personale, infatti, si presta al frazionamento della ricchezza tra i membri della famiglia. Non a caso il sistema francese tassa il patrimonio familiare. Soprattutto, si può ricorrere allo spostamento all’estero della residenza del contribuente o all’utilizzo di schermi soggettivi (società di capitali, trust, società fiduciarie, ecc.), più efficaci se esterovestiti. In generale, risulta difficile accertare il beneficial owner, cioè il detentore finale (ed effettivo) della ricchezza. Gli attuali accordi internazionali tra amministrazioni fiscali sullo scambio di informazioni, basati sul Common Reporting Standard (CRS) dell’OCSE, hanno ad oggetto i redditi finanziari, non i patrimoni e non coprono tutti i paesi (ad esempio gli USA non aderiscono). Va ricordato che, non a caso, Piketty aveva proposto la patrimoniale personale progressiva come soluzione mondiale, non come imposta nazionale.
La patrimoniale personale potrebbe, in astratto, essere aggiuntiva rispetto alle patrimoniali reali in vigore o potrebbe invece sostituirle. Era aggiuntiva nel sistema francese; in Italia è stata proposta come sostitutiva. Quindi, per quanto riguarda gli immobili, l’IMU sarebbe soppressa. Passando dall’imposizione reale a quella personale, gli immobili sarebbero soggetti agli schermi soggettivi elusivi (od evasivi) ricordati sopra, con conseguente perdita di gettito, che andrebbe computata in diminuzione del gettito atteso dalla nuova patrimoniale. Soprattutto, il gettito affluirebbe allo stato e i comuni sarebbero privati di una fonte rilevante di entrate, su cui possono esercitare la loro autonomia finanziaria. Sostituire l’IMU con trasferimenti compensativi dal bilancio dello stato violerebbe gravemente l’autonomia finanziaria dei comuni, relegata all’addizionale Irpef, e negherebbe i principi di un federalismo responsabile. Né appare possibile escogitare una ripartizione territoriale della base imponibile della nuova patrimoniale erariale che consenta di mantenere l’autonomia finanziaria delle amministrazioni locali.
Va infine notato che tassare alle stesse aliquote i patrimoni finanziari e quelli immobiliari significa trascurare che le due basi imponibili sono molto diverse quanto a mobilità e capacità di elusione e/o evasione. Anche le modalità di valutazione differiscono: i capitali finanziari sono generalmente valutati ai valori di mercato, le rendite catastali sono generalmente sottostimate rispetto ai valori effettivi. In sostanza, rispetto alle patrimoniali reali, si rischia di incoraggiare la “fuga” dei cespiti finanziari e di sotto-tassare quelli immobiliari.
Riguardo alla progressività, la ricchezza è più concentrata del reddito, quindi patrimoniali proporzionali già assolverebbero alla funzione redistributiva di tipo “verticale”. La progressività della patrimoniale, se molto spinta, da un lato accentua l’incentivo alla delocalizzazione degli imponibili e all’assunzione di assetti proprietari che evitino l’imposta; dall’altro lato rischia di rendere l’imposta “espropriatoria” e di incorrere in eccezioni di incostituzionalità, come mostra l’esperienza francese dell’imposta sulla fortuna: fu necessario porre limiti superiori al livello complessivo del prelievo fiscale, in modo che non eccedesse una percentuale (da ultimo, la metà) del reddito imponibile.
In conclusione, sembra preferibile mantenere le attuali imposte patrimoniali reali, affinandole ove necessario.
Le imposte patrimoniali ordinarie, reali o personali, dovrebbero comunque essere coordinate con il resto del sistema fiscale; in primo luogo con le ricordate imposte sui trasferimenti di ricchezza (registro, ipotecarie e catastali), ma soprattutto con l’imposta sulle successioni e donazioni. Il confronto internazionale suggerisce che le imposte patrimoniali sono in qualche modo correlate alle imposte sulle successioni: ad esempio, la Svizzera ha una patrimoniale ordinaria, ma quasi non tassa le successioni.
Nel confronto internazionale oggi l’Italia ha un’imposta sulle successioni relativamente molto bassa. Anziché “compensare” questo basso livello con l’istituzione di una patrimoniale personale progressiva, che presenta le controindicazioni rilevate sopra, si propone qui di avviare una riflessione sul rafforzamento dell’imposta sulle successioni e donazioni.
Innanzitutto, l’imposta sulle successioni presenta minori rischi di elusione e/o evasione rispetto all’imposta personale sul patrimonio. Per evitarla, l’erede dovrebbe in sostanza rinunciare alla proprietà dei cespiti oggetto della successione o il dante causa ricorrere a complicati schemi elusivi, che possono però presentare controindicazioni per gli eredi.
Rafforzare l’imposta di successione implica non solo rivedere le aliquote ma anche, e soprattutto, la base imponibile, oggi fortemente erosa. Oltre ad alcune attività finanziarie (i titoli di stato, il risparmio postale, i piani individuali di risparmio) sono esenti anche le cessioni di aziende e di partecipazioni in società di capitali. Quest’ultimo aspetto merita particolare considerazione. Come è noto, in occasione delle recenti successioni di due grandi società italiane, la Fininvest e la Luxottica, i valori delle partecipazioni di controllo sono andati esenti, perché gli eredi si sono impegnati a garantire la continuità del controllo per almeno cinque anni.
Questa norma, adottata con la legge finanziaria per il 2007 per accogliere la Raccomandazione (94/1069) della Commissione Europea che intendeva facilitare la continuità aziendale per le piccole e medie imprese, è stata recentemente criticata dalla nostra Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 120 del 2020 ha affermato “risulta in concreto eccessivo che anche trasferimenti di grandi aziende, di rami di esse o di quote di società, che possono valere centinaia di milioni o addirittura diversi miliardi di euro, vengano interamente esentati dall’imposta, anche quando i beneficiari sarebbero pienamente in grado di assolvere l’onere fiscale.” “L’esenzione in oggetto, azzerando completamente il carico fiscale, potrebbe anche costituire un disincentivo alla vendita, favorendo sì, anche da questo punto di vista, la continuità della proprietà dell’impresa, ma all’interno della stessa comunità familiare: ciò, tuttavia, non è detto che assicuri, direttamente o indirettamente, un’idonea qualità manageriale (problema tanto più grave quanto maggiori sono le dimensioni dell’impresa). Infine, sempre riguardo alle finalità sociali, va notato che l’agevolazione in oggetto può anche favorire una concentrazione della ricchezza che prescinde da una ragionevole approssimazione al merito e alle capacità individuali, ostacolando così la mobilità socio-economica e l’uguaglianza delle opportunità di partecipazione sociale.” Infine la Corte ha ricordato la sentenza del 17 dicembre 2014 del Tribunale costituzionale tedesco, che ha dichiarato incompatibile con il principio di eguaglianza un’agevolazione fiscale sull’imposta sulle successioni analoga a quella italiana “ritenendola sproporzionata nella parte in cui, estendendosi oltre l’ambito delle piccole e medie imprese, prescinde da ogni verifica delle effettive esigenze delle imprese agevolate.”
Ripensare e rafforzare il ruolo dell’imposta di successione appare opportuno anche alla luce degli andamenti demografici in corso. Coerentemente con il calo della popolazione, le nuove coorti sono meno numerose delle vecchie: ciò comporterà una progressiva concentrazione della ricchezza e un aumento delle disuguaglianze. Aumenteranno i casi di persone in grado di fruire di redditi adeguati al mantenimento proprio e della loro famiglia senza necessità di lavorare, godendo dei redditi provenienti da ricchezza, immobiliare o finanziaria, ricevuta in eredità, tra l’altro tassati prevalentemente con imposte sostitutive cedolari piuttosto basse, al di fuori della progressività dell’Irpef. L’imposta sulle successioni è molto efficace nel ridurre le disuguaglianze nelle opportunità. Stimola l’iniziativa degli eredi e quindi la crescita economica. È equo tassare una ricchezza non prodotta, risultato della sola fortuna alla nascita, più di una ricchezza frutto dello sforzo lavorativo. Gli argomenti che tassare l’eredità stimola l’iniziativa degli eredi e la crescita economica, che è equo tassare una ricchezza non prodotta più di una ricchezza frutto di sforzo lavorativo, che è opportuno ridurre le disuguaglianze nelle opportunità sono principi che si ritrovano già in Stuart Mill e sono radicati nella tradizione del pensiero liberale tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento. Più recentemente, nel 1978, il rapporto Meade (IFS, The Structure and Reform of Direct Taxation, Allen and Unwin, p. 318) affermava che “Il cittadino che con il suo sforzo e la sua iniziativa ha costruito una fortuna merita un trattamento fiscale migliore del cittadino che, come risultato della sola fortuna alla nascita, possiede un’uguale ricchezza; e tassare il primo più lievemente del secondo porrà meno ostacoli allo sforzo lavorativo e all’iniziativa economica.” La patrimoniale personale, invece, tassa entrambi nello stesso modo.