Il lavoro povero in Italia: specchio di un Paese povero
Lavorare non è sempre sufficiente per non essere poveri e questa condizione non si realizza solo in Italia. Nel nostro Paese, però, il fenomeno della povertà sembra essere particolarmente rilevante: l’indicatore di in-work poverty adottato dall’Unione Europea mostra che, nel 2022, l’11,5% dei lavoratori italiani viveva in un nucleo familiare povero rispetto a un valore dell’8,5% nell’area UE (per un’analisi approfondita sul tema si rinvia a M. Raitano, in Lavoro e salari in Italia Cambiamenti nell’occupazione, precarietà, impoverimento, a cura di R. Evangelista e L. Pacelli, Carocci 2025).
Uno spaccato desolante del nostro Paese è dipinto in un lavoro di L. Ricolfi (La società signorile di massa, La Nave Teseo, 2019): la nostra società, sostiene il politologo torinese, appare sempre più caratterizzata da una quota elevata di rentiers e da una ricchezza, finanziaria e reale, in crescita e nelle mani di una sempre più ristretta cerchia di persone; ciò è stato possibile anche grazie alla creazione di una infrastruttura para schiavistica, alimentata da lavoratori stagionali nel settore agricolo, per lo più di origine africana, da donne (nella maggioranza dei casi) che svolgono mansioni di badanti presso le famiglie, da dipendenti pagati in nero, in generale addetti a mansioni pesanti, usuranti o sgradevoli, sottopagati e licenziabili in ogni momento. Il lavoro di Ricolfi mette in luce una società in cui emergono molte debolezze e fragilità (che, spesso, sfuggono alle lenti dell’economista): una società caratterizzata da una massa ingente di “nuovi schiavi” mal pagati e sfruttati e fondata su rapporti sempre più liquidi, superficiali dove a dominare è il totale disinteresse dell’uno per gli altri, nella ricerca di un ascolto che è solo di sé stessi. La drammaticità non è pertanto legata a qualche decimale in più o in meno di crescita del PIL ma ad una frammentazione progressiva del nostro Paese sul piano sociale accompagnata da una crescente evasione fiscale, elevata corruzione e povertà. Povertà che trova un’ulteriore conferma in una ricerca condotta dall’ISTAT (Condizioni di vita e reddito delle famiglie Anni 2023-2024, 25 marzo 2025) secondo la quale il 40% delle famiglie non sarebbe in grado di affrontare una spesa imprevista di 800 euro. Inoltre, nel 2024, il 23,1% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale (nel 2023 era il 22,8%), si trova cioè in almeno una delle tre seguenti condizioni: a rischio di povertà, in grave deprivazione materiale e sociale oppure a bassa intensità di lavoro.
Sembrerebbe così emergere sempre più una nuova diseguaglianza, fondata sull’assenza di un margine economico, ma anche di tempo e di relazioni. I <
Il fenomeno relativo al lavoro povero non è legato solamente alle poco “democratiche” relazioni esistenti all’interno di molte imprese e all’avidità di molti imprenditori volta a fare profitti senza curarsi del benessere dei propri dipendenti ma può considerarsi lo specchio di un Paese povero che, a sua volta, può essere così definito quando, al di là del livello di ricchezza reale e finanziaria raggiunto, non è in grado di vincere le proprie fragilità; in particolare quando coesiste con un’elevata e crescente disuguaglianza sociale e territoriale, quando tollera l’esistenza di molti casi di sfruttamento nel lavoro e non mette in azione gli opportuni e necessari controlli. Ancora, un Paese è povero quando convive con un elevato debito pubblico (i cui costi non potranno, prima o poi, non scaricarsi sulle giovani generazioni), quando non riesce a sconfiggere la corruzione e l’elevata evasione fiscale, frutto non solo di un’insufficiente capacità amministrativa e istituzionale ma anche e, soprattutto, di un basso livello di responsabilità economica e sociale e di una modesta coscienza civica di molte persone. Inoltre, un Paese è povero quando è governato da una classe politica incapace di avere una <
Da ultimo, ma non ultimo, un Paese è povero quando è caratterizzato da un modesto livello di istruzione e culturale e non riesce ad offrire solide prospettive ai nostri giovani; emblematiche, al riguardo, alcune considerazioni sul nostro Paese sviluppate da A. Rosina (La scomparsa dei giovani, Hoepli, 2025); dopo il miracolo economico durante il quale si sono sprigionate le migliori energie imprenditoriali e culturali con una forte spinta alla crescita e al rischio, l’Italia è oggi un Paese di famiglie sempre meno numerose e di culle vuote e di giovani, spesso con titoli di studio elevati, che scappano all’estero (secondo il Rapporto CNEL, L’attrattività dell’Italia per i giovani dei Paesi avanzati, dicembre 2025, tra il 2011 e il 2024 sarebbero usciti dall’Italia 630 mila giovani, il 7% del totale, mentre relativamente al triennio 2022-2024, è emerso che il 42,1% dei giovani emigrati è pari al 42,1%, in aumento rispetto al 33,8% dell’intero periodo analizzato). Un Paese, infine, impoverito anche culturalmente, come testimoniato dall’ultimo Rapporto CENSIS (dicembre 2025): negli ultimi venti anni (2004-2024) la spesa per la cultura delle famiglie italiane si è drasticamente ridotta (-34,6%) a fronte di un aumento vertiginoso degli smartphone e dei computer (+723,3%).
Fortunatamente operano, all’interno del nostro Paese, molti imprenditori fortemente responsabili sotto il profilo sociale come evidenziato dal decimo Rapporto elaborato da Symbola (Coesione è competizione Nuove Geografie della produzione del valore in Italia 2024, novembre 2025). In particolar modo, il Rapporto si focalizza sulle imprese coesive (definite come le imprese che tendono a creare reti e relazioni con altre imprese e con i vari attori economici e sociali operanti nel territorio) che, in progressiva crescita (pari, nel 2024, al 44% del totale delle imprese manifatturiere rispetto al 32% nel 2018) hanno adottato strategie volte a valorizzare il rapporto con i propri lavoratori non solo per un senso di responsabilità sociale ma anche e, soprattutto, perché hanno compreso come il coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte aziendali strategiche si traduce generalmente, attraverso un cambiamento radicale dell’organizzazione aziendale, in una migliore performance sui mercati: <
Nuovi modelli di impresa si stanno così configurando con la finalità di coinvolgere sempre più i lavoratori nella vita aziendale spingendoli, ad esempio, a partecipare al capitale di impresa. Come emerge nel Rapporto di Symbola, molte imprese stanno sperimentando con successo l’azionariato diffuso: un metodo per consentire al lavoratore maggiori spazi decisionali e acquisire un maggior senso di appartenenza e di responsabilità. Lo hanno fatto Campari Group, il Gruppo Prysmian e Luxottica, quest’ultima in particolar modo sta registrando un sensibile aumento della partecipazione dei lavoratori al capitale di impresa. Nel contempo, esistono altri casi virtuosi di imprese, con risultati efficaci per imprese e lavoratori, volti a coinvolgere sempre più i propri dipendenti nelle attività aziendali (al di là di una mera gratificazione monetaria, quale la partecipazione agli utili). Ad esempio, l’Azienda dei Fratelli Branca (nota impresa che esporta in tutto il mondo liquori largamente noti) ha istituito dal 2006 un Codice Etico che si fonda su una serie di princìpi tra cui: il coinvolgimento dei fornitori e dei vari stakeholders alla creazione di valore, la condivisione degli obiettivi con tutti i dipendenti in modo che ognuno abbia una visione chiara della finalità del proprio lavoro, la consapevolezza infine che ogni individuo dovrebbe acquisire sulle motivazioni e sugli effetti delle proprie azioni (N. Branca, Economia della consapevolezza, Marcos y Marcos, 2019).
Inoltre, in un recente libro che contiene una serie di interviste a molti imprenditori di imprese di medie dimensioni a salda proprietà famigliare (molte di esse, vanto della nostra economia, di cui rappresentano un punto di forza e di eccellenza a livello mondiale), emerge con forza l’importante ruolo dell’imprenditore che è (o dovrebbe essere) prevalentemente quello di «farsi affascinare e incuriosire dai cambiamenti e preparare le persone ad accoglierle, perché il successo è quello ancora da conquistare insieme alla propria squadra» (intervista a A. Illy, in R. Mania, Capitalisti silenziosi La rivincita delle imprese familiari, Egea, 2024). In termini più generali, diversi sono i valori su cui si fondano le imprese familiari oggetto dello studio: la tradizione dell’azienda (spesso costruita dai nonni o bisnonni), la forte passione nel lavoro, il coraggio a fare determinate cose, la sostenibilità dell’impresa che deve stare attenta ai costi con lo sguardo rivolto al futuro per il raggiungimento del benessere non solo a favore di chi, in futuro, dirigerà l’impresa ma soprattutto di tutta la collettività che vive nel territorio creando, di conseguenza, ricchezza per tutto il Paese. Ricchezza che si rafforza non solo grazie a una classe di imprenditori illuminati ma anche attraverso una crescente corresponsabilità e coinvolgimento che dovrebbero investire, dal basso, tutti gli attori: gli amministratori pubblici, i cittadini, il terzo settore, il settore bancario, le associazioni.