Finanza

IL LAVORO TOSSICO NELLA SOCIETÀ ATTUALE

Le tutele del lavoro, in costante ascesa dall’approvazione della Costituzione fino alla fine del secolo scorso, sono state successivamente investite da un processo regressivo, che ancora continua.

Come questo sia potuto accadere non è stato ancora sufficientemente indagato. Né convince la narrazione secondo cui la causa è la globalizzazione, che avrebbe messo in crisi l’impianto di “iperprotezione” preesistente. Troppa rigidità nelle regole di utilizzo della forza-lavoro e troppo potere delle organizzazioni sindacali avrebbero spinto gli investimenti produttivi verso paesi più accoglienti, e il nostro paese a reagire con continue “liberalizzazioni del lavoro”.

Un’altra lettura è possibile, in termini di confronto e contrasto tra linee politiche contrapposte, che hanno ispirato l’adozione di specifici interventi legislativi, capaci di determinare importanti mutamenti nella realtà socio-economica e nella vita degli individui. Lo si vede, in particolare, ripercorrendo l’aggressione, a partire da inizio secolo, alle fondamenta stesse dello Statuto dei lavoratori.

Lo Statuto aveva creato una interazione fra diritti individuali e diritti collettivi sindacali, assicurando, da un lato, ai singoli lavoratori, i diritti costituzionali alla libertà di parola, alla salute, alla difesa, alla tutela e al miglioramento professionale, allo studio ecc., e, dall’altro, al sindacato la presenza organizzata all’interno delle imprese (diritto alla sede, all’assemblea, ai permessi, alla formazione di rappresentanti), così da consentire al lavoratore di dare concreto sviluppo, nell’alveo del sindacato, a quei diritti. La stabilità dell’occupazione, che poggiava sulla garanzia di reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato o di rappresaglia e la tendenziale unicità del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, caratterizzato, appunto, dalla stabilità, erano il collante fra questi diritti. L’attacco a entrambi questi pilastri ha avuto ed ha conseguenze così allarmanti sulla situazione economica dei lavoratori, la loro salute e sicurezza, la loro libertà e dignità, il rispetto della legalità da far sì che si possa parlare, in molte situazioni, di una vera e propria tossicità del lavoro.

L’analisi di questo processo e della situazione che si è venuta conseguentemente a creare, unita però alla consapevolezza che esistono modifiche normative, proposte di politica economica e percorsi di trasformazione sociale, assolutamente praticabili, che possono costruire una via di riscatto, giustifica il titolo del libro Il lavoro tossico nella società attuale. Proposte di bonifica, curato da chi scrive e edito da il Mulino.

Pur partendo da approcci che si differenziano per categorie di riferimento, metodologie di analisi e finanche linguaggio, le problematiche analizzate dai giuristi, dagli economisti e dai sociologi che ne sono autori, si intrecciano, si parlano, si ricompongono, fino a fornire un quadro unitario, altamente preoccupante.

Un quadro in evoluzione, in cui nuove narrazioni sono richieste per capire le implicazioni economiche e sociali delle modalità attraverso cui si realizzano la flessibilizzazione del lavoro, il lavoro povero, il caporalato e il lavoro irregolare (lavoro nero, falso lavoro autonomo o fattispecie simulate), le varie forme di precariato, il gender pay gap, la catena degli appalti non genuini e la loro ricaduta sulla sicurezza del lavoro, le esternalizzazioni, un sistema di incentivi fiscali e contributivi che indeboliscono contrattazione e salari.

Bisogna innanzitutto abbandonare la tradizionale, comoda, distinzione tra lavoratori «garantiti» e «non garantiti». L’allargarsi dell’area «non garantita» ha, infatti, prodotto un grave indebolimento della forza contrattuale e della sicurezza (normativa) nell’area ancora, formalmente, «garantita». Un processo che può essere adeguatamente contrastato, impedendo l’abuso, non solo permesso ma anche perseguito dagli interventi legislativi, di forme contrattuali, quali il contratto a termine e quello stagionale, la somministrazione, il part-time, il falso lavoro autonomo, le cui conseguenze sono ben descritte in singoli contributi del volume.

Si spiega ad esempio come il lavoro precario, caratterizzato da una prevalenza prolungata nel tempo di contratti temporanei o atipici, abbia sia l’effetto di intrappolare le persone in un circolo vizioso, che ne riduce prospettive di vita e di carriera, senza migliorarne l’occupabilità, sia effetti rilevanti sull’assetto macroeconomico del paese e sulle imprese, cui viene permessa una sopravvivenza più agevole, basata sul basso costo del lavoro, che, se le aiuta nel breve periodo, le rende però deboli e poco competitive in un orizzonte più lungo.

Un’attenzione specifica viene poi posta, con l’aiuto di dati relativi al contesto italiano, al «precariato digitale» creato dalle piattaforme, e caratterizzato da forte incertezza circa le prospettive occupazionali e reddituali, instabilità contrattuale e assenza di tutele, scarsa o assente sindacalizzazione ed elevato grado di frammentazione, a cui si aggiunge, in ragione delle pratiche algoritmiche di controllo e sfruttamento, un aumento del rischio di alienazione e sofferenza psicologica.

Precarietà, minore sicurezza sul lavoro, basse retribuzioni si intrecciano anche nella ricostruzione e nell’analisi dell’andamento delle disuguaglianze retributive in Italia, delle cause della stagnazione dei salari medi e della crescita dell’estensione del lavoro povero, che si è non a caso affermato contestualmente al processo di flessibilizzazione del mercato del lavoro italiano.

Di particolare evidenza è il ruolo svolto dalla riduzione delle ore lavorate, e conseguentemente dei salari, indotto dalla forte crescita del part-time involontario. Un risultato che si lega allo studio di come la maternità rappresenti uno shock significativo per le carriere femminili, con conseguenze di lungo termine, fra cui il divario di genere nei redditi da lavoro e il conseguente divario di genere nelle pensioni. Nei primi anni dopo la maternità la quota di madri con un contratto di lavoro part-time aumenta infatti in modo discontinuo e significativo rispetto a quella delle lavoratrici senza figli. E la determinante principale della child penality non è il basso salario, ma la “scelta” delle madri di lavorare meno settimane e meno ore, con effetti di grande impatto anche nel lungo periodo. Politiche pubbliche efficaci per ridurre questi divari sono il rafforzamento e l’estensione dei congedi di paternità e l’ampliamento dell’offerta e dell’accessibilità ad asili nido e servizi per l’infanzia, unitamente però a iniziative volte a promuovere un cambiamento delle norme sociali relative alle scelte famiglia-carriera sia per gli uomini che per le donne.

All’abuso delle forme contrattuali si affianca, prepotentemente, il ricorso troppo frequente al decentramento produttivo e alle varie forme di esternalizzazioni illegittime, come ad esempio le cessioni di azienda o di rami di azienda in frode alla legge. Ed in particolare, si assiste alla smisurata strumentalizzazione dell’appalto che, abbandonando la fattispecie valida e lecita, imperniata sul rischio d’impresa e sull’esistenza di un’adeguata organizzazione dei mezzi aziendali, favorisce la nascita di pseudo imprese, funzionali alla frammentazione fraudolenta del ciclo produttivo mediante pseudo appalti, di cui sono vittime quote rilevanti di lavoratori, spesso immigrati. Un processo favorito dal mutato contesto normativo che, oltre a permettere di fatto l’appalto a favore di imprese di mera intermediazione di manodopera, ha incrinato il principio base che garantiva ai dipendenti dell’appaltatore lo stesso contratto riconosciuto ai dipendenti dell’utilizzatore.

Parallelamente si è limitata la responsabilità del committente nel campo della sicurezza sul lavoro, circoscrivendola ai soli casi di sua ingerenza nell’organizzazione o nell’esecuzione ed escludendola invece nell’ipotesi di rischio specifico. Una facile via di fuga. La soluzione raccomandata (in sintonia anche con il referendum, proposto, sul tema, dalla Cgil) è un rafforzamento della responsabilità del committente nella consapevolezza che le catene di appalto sono sistemi integrati e richiedono un approccio alla sicurezza coordinato e integrato.

Il tema di quale contratto applicare e, quindi, di come garantire tutele economiche e normative ai lavoratori nella catena degli appalti si affianca a quello, più generale, del ruolo che deve essere riconosciuto alla contrattazione collettiva nella definizione del giusto salario, in assenza di una compiuta definizione del concetto di rappresentatività delle organizzazioni firmatarie. La finalità deve essere quella di garantire il ruolo fondamentale di tali organizzazioni nell’evitare che sul mercato la forza contrattuale delle parti sia completamente asimmetrica.

In questa stessa ottica, possono essere pensati anche strumenti che incentivino i lavoratori alla difesa individuale contro il lavoro nero, e agiscano da deterrenza a farvi ricorso da parte del datore di lavoro, quali l’introduzione di “presunzioni assolute” di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (già ammesse in varie ipotesi dalla Corte costituzionale) al ricorrere di certe circostanze di fatto, quali la dimostrazione dell’avere effettuato un determinato numero di prestazioni lavorative “nere” in un trimestre, con diritto del lavoratore a tutto il trattamento retributivo dovuto nel periodo temporale che va dalla più antica tra le prestazioni lavorative accertate fino alla sentenza.

Non va inoltre dimenticata, neppure in sede giurisprudenziale, ai fini del riconoscimento di un’equa retribuzione, la complessa articolazione e natura delle componenti del trattamento economico riconosciuto ai lavoratori.

Un’articolazione favorita anche dall’uso e abuso ad ampio raggio di strumenti di agevolazione fiscale relativi a componenti specifiche della retribuzione, quali i premi di produzione, gli utili distribuiti e il cosiddetto welfare aziendale, che, sostituendo gli aumenti salariali con erogazioni monetarie, detassate e su cui non vengono pagati contributi (carrello della spesa, palestra per i figli ecc.), decise sempre più spesso, unilateralmente, dal datore di lavoro, possono contribuire a indebolire la contrattazione, a deformare l’istituto salariale e a compromettere le prospettive pensionistiche dei lavoratori. Analoghi rischi si incontrano nelle diffuse forme di decontribuzione, ad esempio per giovani e donne, che, pensate a sostegno dell’occupazione, possono favorire la diffusione di lavori di bassa qualità, quanto a stabilità e retribuzioni.

Un focus sulle vecchie e nuove forme di sfruttamento, che si espandono in ogni settore, dando luogo a un mercato del lavoro organizzato secondo logiche di segregazione occupazionale per genere, classe e nazionalità, emerge dalla drammaticità delle storie di vita raccolte nei luoghi della produzione, del disagio, e dell’emarginazione, di cui si presenta uno spaccato nel volume.

Quelle storie costituiscono un monito sull’urgenza e l’importanza degli interventi di bonifica che rappresenta la finalità principale del volume.