Finanza

Smantellare il Deep State: Trump in azione.

Le trasformazioni dell’era Trump. I più poveri fra gli americani -che nel novembre scorso hanno regalato la vittoria elettorale a Trump, nella speranza di un’inversione di rotta rispetto a un passato, durato almeno 40 anni, in cui la forbice socio-economica non ha fatto che ampliarsi a tutto vantaggio di quel 0,1 per cento più ricco della popolazione, che ha accumulato più ricchezza di quanta ne abbia il 50% più povero, anche ‘estraendola’ da costoro” – stanno oggi assistendo ad una trasformazione radicale del proprio sistema. Non, tuttavia, nel senso da loro auspicato. Il cambiamento in atto con la presidenza Trump si muove, infatti, nella direzione opposta, per garantire al potere economico- e in particolare alla sua espressione più concreta, ossia alle corporation- la conquista definitiva dello Stato e del diritto.

Nessuno, come Trump, aveva capito quanto fosse facile per un Presidente cancellare la separazione dei poteri, usurpando le prerogative costituzionali di “penna” -ossia di legiferare- e di “borsa” -ossia non solo di devolvere i fondi all’esecutivo, ma di stabilire come allocarli- del Congresso, senza alcuna reale conseguenza negativa proveniente dal giudiziario. Così oggi, mentre approfitta delle pieghe antidemocratiche della costituzione più antica del mondo per liberarsi dai controlli che teoricamente potrebbero provenirgli dal Congresso, egli sfida al contempo le Corti federali – in particolare di livello inferiore- non rispettandone gli ordini, ben sapendo che esse non hanno mezzi per dare effettività alle proprie decisioni. La trasformazione della democrazia statunitense in autocrazia che ne deriva è strumentale a una seconda e forse perfino più pericolosa trasformazione: quella da un capitalismo ancora in qualche misura dal “volto umano” ad un capitalismo ferocemente corporate, con tutte le conseguenze in termini di sofferenze per le persone in carne ed ossa che ne deriveranno. E’ su questo secondo cambiamento che vorrei concentrare l’attenzione, rinviando ad altri lavori l’analisi più approfondita del primo.

Una nuova Gilded Age per le corporation? Il potere assoluto rivendicato da Trump nei confronti di tutti gli attori istituzionali che per Costituzione ne dovrebbero limitare gli eccessi sembra, infatti, avere come scopo ultimo lo smantellamento di quel “deep State”, o “big Government”, che già durante la sua campagna elettorale il presidente aveva indicato quale il vero nemico da combattere (the enemy from within). Si tratta di quell’apparato amministrativo federale che, a partire dai tempi di Franklin Delano Roosevelt, è intervenuto per rendere meno intollerabile il capitalismo di fine ’800/ inizi ’900, caratterizzato dalla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi uomini -i così detti robber barrons– che senza freni né limiti avevano dato luogo ad enormi monopoli nei settori petroliferi, delle infrastrutture, dell’acciaio e della finanza, diventando ricchi come mai si sarebbe fino ad allora immaginato, grazie allo sfruttamento senza ritegno dei lavoratori, all’eliminazione di ogni concorrenza e all’applicazione di prezzi esorbitanti sulle loro merci.

Fu l’avvento del New Deal di F.D. Roosevelt, negli anni ’30 del secolo scorso, ad apportare al capitalismo statunitense quei correttivi che gli avrebbero conferito un volto in qualche misura umano. La legislazione sociale, i programmi di welfare e i maggiori e penetranti controlli sul business resero, infatti, più tollerabile l’intollerabile. All’uopo furono create dal Congresso le agenzie amministrative federali indipendenti, deputate ad amministrare i programmi di servizio sociale e a dare applicazione – anche in maniera creativa- alle norme volte a regolamentare le imprese a tutela della collettività. Il così detto Stato amministrativo era talmente cresciuto che, se alla fin dell’800 si contavano meno di 100.000 dipendenti federali, già alla fine del 1939 le corrispondenti unità erano arrivate a 900.000. Lyndon Johnson, con il suo piano di Great Society e i suoi nuovi programmi di welfare, così come in parte anche Nixon, aumentarono il numero delle agenzie amministrative federali e dei relativi dipendenti. Questi ultimi, così detti civil servants, non selezionati politicamente (tranne che ai vertici e in ogni caso spesso vincolati a una rappresentanza bipartisan e comunque con tempi di scadenza più lunghi rispetto ai mandati presidenziali per evitare eccessive politicizzazioni), ma assunti stabilmente sulla base del merito per garantire continuità ai governi presidenziali, si attestarono poi sull’attuale cifra di più di due milioni.

E’ dunque lo smantellamento di questo apparato amministrativo – votato a distribuire quel poco che da Ronald Reagan in poi è rimasto dei programmi sociali di F.D. Roosevelt e di Lyndon Johnson, nonché a porre un freno ai profitti esagerati ottenuti a danno del benessere collettivo dal business corporate – a costituire il principale obiettivo di Trump e della sua amministrazione. Con i suoi executive orders, che -violando il divieto costituzionale e legale di bloccare l’uso dei fondi allocati dal Congresso- hanno definanziato le agenzie federali e che- licenziandone illegittimamente la gran parte dei dipendenti- ne hanno bloccato il funzionamento, Trump ha messo in atto un progetto che viene da lontano ed è oggi fatto nuovamente proprio dalla Heritage Foundation: il Project 2025, di cui Russell Vought -a capo dell’ufficio del Budget e del Management – è uno degli esponenti più influenti.

Smantellare il “deep state” significa, infatti, non soltanto depotenziare le strutture di distribuzione di aiuti pubblici agli americani. Significa principalmente eliminare le agenzie che -sia pur sempre più blandamente- dai tempi di Roosevelt in poi hanno cercato di porre dei freni alla libertà delle corporation di inquinare, di truffare i consumatori, di mettere in atto le più bieche pratiche anti-sindacali, di commerciare prodotti pericolosi per la sicurezza collettiva, di far uso di strumenti giuridici capaci di costringere i lavoratori a percepire salari da fame anche quando avrebbero avuto l’opportunità di migliorare le proprie condizioni, di dar vita a giganteschi monopoli e monopsoni. Sconfiggere il “big government” -in un momento storico in cui i grandi cambiamenti riguardano l’avvento dell’intelligenza artificiale, l’uso della cripto moneta e la conquista dello spazio- significa in una parola ritornare alla Gilded Age in un’epoca in cui i robber barrons non sono però più i singoli imprenditori, ma assai più pericolosamente le corporation.

Ai tempi dei vecchi robber barrons le corporation erano ancora considerate enti creati dallo Stato, destinate a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo per cui si erano costituite, con poteri rigidamente limitati dal charter of incorporation con cui lo Stato concedeva loro il privilegio dell’autonomia patrimoniale. Col tempo esse non solo non hanno più avuto limiti temporali, accumulando così ricchezze come gli esseri mortali non possono fare, ma la loro progressiva antropomorfizzazione ha dato loro diritti umani che gli umani non hanno. La famosa sentenza Kelo v. City of New London del 2005 ha consentito l’espropriazione della bella casetta sul lago della signora Suzette Kelo a vantaggio del gigante Pfizer -che al suo posto avrebbe dovuto costruire un centro di ricerca- sancendo così il primato della proprietà corporate su quella delle persone fisiche.

La successiva decisione Hobby Lobby del 2008, sempre della Corte Suprema federale, ha stabilito che anche le corporation hanno il diritto di professare la propria fede religiosa e quindi sono legittimate a non coprire le spese assicurative dei medicinali contraccettivi delle loro dipendenti. Da ultimo, e drammaticamente, la pronuncia Citizen United del 2010, dichiarando che il loro diritto di parola (free speech) comporta la possibilità di immettere somme illimitate nelle campagne elettorali, ha sdoganato la definitiva cattura dello Stato da parte delle stesse. Il passo successivo è quello che oggi vediamo compiere dall’amministrazione Trump: l’ultimo diritto che le corporation stanno conquistando è la libertà di operare senza quei freni e limiti che rendono le loro attività compatibili con i bisogni vitali degli esseri umani.

Il radicale ridimensionamento delle agenzie amministrative che fino ad ora hanno controllato e regolamentato le grandi corporation -raggiunto a suon di executive orders presidenziali in contrasto con le leggi del Congresso, che quelle agenzie hanno istituito e autorizzato ad operare, che hanno tutelato il posto di lavoro dei loro dipendenti e che ne hanno finanziato le attività- comporta per esempio che oggi il Consumer Financial Protection Board (CFPB), i cui dipendenti sono stati ridotti del 90%, abbia smesso di sanzionare i comportamenti truffaldini delle istituzioni finanziarie che profittano della vulnerabilità dei loro clienti. L’agenzia, nata dopo la crisi dei subprime -che dal 2010 ha ordinato a banche e istituti finanziari di risarcire ben 21 miliardi alla platea dei frodati- ha oggi addirittura rotto accordi transattivi già stipulati, che avrebbero portato alla restituzione del maltolto a tanti clienti ingannati. Non diversamente la riduzione per due terzi degli ispettori che, all’interno dell’Agenzia per le Armi e il Tabacco, monitorano i venditori di armi fa gli interessi dei produttori, non certo degli americani. D’altronde l’Environmental Protection Agency (EPA), ormai allineata agli interessi delle società energetiche, considera oggi l’approvazione di un piano per liberalizzare le emissioni di gas serra delle centrali elettriche o per eliminare  il divieto di uso del letale amianto “bianco”. E via elencando.

Un disegno che si avvera. Giovedì 22 maggio 2025 la Suprema Corte statunitense– ribaltando un precedente del 1935- rovescia, sia pur interlocutoriamente, l’ordine di reintegro nel posto di lavoro emanato da una corte d’appello di due componenti rispettivamente del Merit Systems Protection Board e del National Labor Relation Board: due agenzie governative con compiti di tutela dei lavoratori federali –la prima- e del settore privato –la seconda.

L’intenzione di non rispettare le pronunce delle corti che ostacolino i suoi piani di dominio, più volte manifestata, non solo in via teorica, da Trump (e da tutta la sua amministrazione) nei confronti delle corti di grado inferiore, sembra dunque aver dato i suoi frutti. Preoccupata di perdere ogni legittimazione laddove una sua decisione dovesse rimanere impunemente inascoltata, la Corte Suprema pare essersi già adeguata al disegno trumpiano di garantire piena libertà alle corporation.

La sua decisione appare, infatti, come un fortissimo segnale di accettazione di quella che viene definita la Unitary Executive Theory, propugnata dall’Heritage Foundation e per la stessa soprattutto da Russell Vought. E’ la teoria che vuole un esecutivo tutto alle dipendenze del presidente, il quale sarà così legittimato a definanziare e ridimensionare a piacimento le agenzie amministrative, nonché a sceglierne i componenti secondo lo spoil system.

Il Presidente potrà così favorire un feroce capitalismo corporate senza freni, volto all’estrazione senza limiti dal pianeta e dalle donne e dagli uomini che lo abitano. Avrà il potere, insomma, di produrre la definitiva e totale cattura dello Stato e del diritto da parte delle corporation, le quali -senz’anima, né cuore, né prospettive più lunghe della trimestrale di cassa- guadagnano ogni qualvolta l’umanità perde.